La minaccia della guerra all'Europa e il realismo della pace "impura"

La minaccia della guerra all'Europa e il realismo della pace "impura"

Ritornare all'ideale dell'Europa unita
Confini. Una Europa solo in posizione di autodifesa non serve a molto
La guerra in Ucraina sta mettendo alla prova la tenuta stessa del processo di integrazione europea. Non che ci sia il pericolo di blocco istituzionale: si tratta piuttosto di una sfida profonda al senso e allo spirito con cui è stata costruita l'Unione Europea. Il sogno dell'Europa unita nasce dalle ceneri della seconda guerra mondiale, non come risultato della guerra ma come rivolta contro di essa.
Al principio degli anni Cinquanta, allorché iniziava a farsi largo la consapevolezza dell'orrore gigantesco della Shoà, nel mezzo della ricostruzione dall'immane disastro umano ed economico causato dal conflitto, alcuni uomini di stato maturarono la consapevolezza che la pace non avrebbe tenuto senza l'abiura delle ragioni stesse della guerra che essenzialmente si concentravano nella competizione tra nazioni e nel vittimismo dei reciproci risentimenti e delle rivendicazioni. Per questo lo spirito di pace dell'Unione non è basato sulla vittoria delle democrazie contro il nazifascismo assassino, che pur fu fondamentale, ma sull'apertura di un capitolo del tutto nuovo di cooperazione e solidarietà vicendevoli, che andasse oltre le ragioni della giustizia, cioè della giusta riparazione dei danni e delle perdite subite da chi era stato aggredito.
È tornando a tale spirito che il presidente Emmanuel Macron, il quale ha fatto dell'interrogarsi sul senso dell'Europa e del suo futuro uno dei cardini del proprio mandato, nell'ottobre 2022 al meeting interreligioso promosso a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio disse a tal proposito: «La pace è impura, profondamente, ontologicamente, perché accetta una serie di instabilità, di scomodità, che rendono però possibile questa coesistenza tra me e l'altro».
Andare oltre le emozioni
Tali affermazioni fanno riflettere: una pace troppo pura significa forse guerra senza flne? La pace europea ha bisogno di recuperare la visione del dopoguerra: quel "jamais plus la guerre!" di Paolo VI all'ONU che oggi sembra perduto. Nell'orizzonte nebbioso del conflitto attuale è difficile andare oltre le emozioni per intravvedere le vere condizioni della pace. Solo la guerra domina il presente. Sembra che non ci possa essere pace senza una vittoria definitiva.
La brutalità della guerra fa perdere il contatto con la realtà. Tale realtà è proteggere la libertà ucraina ma anche evitare un prezzo così alto per la sua gente. Bisogna comporre due esigenze che paiono incompatibili: salvare l'Ucraina e gli ucraini assieme. L'unico modo è la diplomazia nella sua duttilità e nella capacità di spingere per il dialogo. Fino ad ora si è molto investito sul piano militare, moltissimo sulle armi, ma quasi niente sulla diplomazia e sull'immaginazione di una visione della pace europea del futuro, fatti salvi alcuni tentativi e in particolare quello del cardinal Matteo Zuppi, inviato di papa Francesco.
Un mondo complesso, contraddittorio, conflittuale ma iperconnesso, non si tiene insieme senza dialogo e senza una visione dell'interesse generale. Il popolo ucraino ha diritto alla sua indipendenza e a vedersi garantita la propria sicurezza. Però, come aggiunse Macron: "non si può cambiare la carta geografica. La Russia fa parte dell'Europa. E la pace in Europa non è possibile senza una risposta alla questione russa".
Com'è noto la Russia ha una concezione della propria sicurezza legata ad una cintura territoriale che crei e allarghi spazio attorno alle sue frontiere: ciò non è accettabile ma può essere risolto soltanto con una maggior fiducia tra vicini. Gli stati dell'Europa dell'est emancipatasi dall'URSS, a causa della loro esperienza storica, temono la Russia.
Per comporre questo, e molto altro ancora, la guerra appare come uno strumento troppo rigido e rozzo. E' necessario il coraggio - a Berlino, durante il successivo meeting interreligioso organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio si è parlato di "audacia"- per far risorgere una cultura di pace che faccia anche i conti con la realtà. Parlare di pace e prosperità significa non proseguire sulla strada della competitività estrema che ha approfondito le differenze, ma tornare alla radice del modello di sviluppo per costruirne uno nuovo, indirizzato a maggior uguaglianza mediante una più giusta redistribuzione delle ricchezze.
Tale è il compito dell'Europa, la quale ha il privilegio di possedere un welfare operante, mentre nel resto del mondo non esiste, come si è visto con la pandemia.
Oltre la fortezza
L'Europa può divenire un modello per gli altri continenti se non si limita ad essere una fortezza in guerra, attanagliata dalla sindrome dell'assedio. Nello stato di guerra è impossibile ogni riforma di equità: il conflitto ingoia ogni programma di eguaglianza socio-economica e reclama tutte le risorse per sé, distruggendo vita e pianeta. La stessa Russia sotto sanzioni sta raddoppiando le spese per le armi e la guerra.
Non esiste una prosperità europea che non tenga conto innanzi tutto della stabilità e della pace: sarebbe un'illusione. Così come noh può esserci una protezione europea in un resto del mondo in stato di guerra endemico o permanente.
C'è qualche segnale positivo sulla fine della guerra in Yemen: è necessario un simile impegno anche sulla Siria, sulla Libia. C'è necessità di un'Europa attiva in Libano e Tunisia dove la democrazia sta precipitando e la povertà mangia il futuro dei giovani che fuggono. Non basta lamentarsi per i flussi migratori: serve una vera politica della solidarietà mediterranea e dell'integrazione tra economie mediterranee.
Si guardi ai Balcani ad esempio: dopo oltre vent'anni il problema del Kosovo è ancora aperto così come quello della Bosnia, con persistenti minacce di incendio. L'unico modo per risolverli è la prospettiva dell'adesione europea che oggi viene negata. Un'Unione troppo egoista provoca attorno a sé conseguenze nefaste. Quali requisiti si possono immaginare per l'Europa di domani? Molti insistono sulla necessità di una sovranità europea - che alcuni leader chiamano autonomia strategica - al fine di permettere al continente di essere padrone del proprio destino anche dal punto di vista militare. Si era pensato ad una revisione dei trattati mediante una nuova convenzione o nuove conferenze intergovernative ma la guerra ha spostato l'asse su tutt'altra prospettiva e l'Unione europea ora si trova schiacciata.
Nuove partnership
Va detto che dal fallimento della costituzione europea (con i referendum francese e olandese del 2005) non si pensava più ad un processo di questo tipo. Oggi pare più urgente ma non tutti gli Stati membri sono d'accordo a riprendere un percorso di maggior integrazione. Rimane come prospettiva concreta quella di un'Europa a più velocità, che de facto esiste già grazie alle "politiche rafforzate" (come l'Euro o Schengen). Basterebbe convocare vertici di capi di stato e di governo su tali politiche per cambiare tutto (per ora si fanno solo riunioni dei ministri interessati). Il problema attuale è coinvolgere dentro l`Europa alcuni stati che ancora non hanno completato il percorso di adesione all`UE (come la Serbia e l'Albania ma anche l'Ucraina e non solo), senza annacquarlo ma creando allo stesso tempo un ambito politicamente impegnativo. In alternativa si potrebbe accogliere alcuni stati in parte del processo come il mercato unico ad esempio.
Si tratta di prospettive che vedono un'Europa generosa aprirsi verso l'esterno e partecipare alla ricostruzione del convivere europeo e globale. Un'Europa solo in posizione di autodifesa non serve a molto. Un discorso simile può essere fatto per l'Africa che rimane dentro il medesimo spazio geografico e culturale ma tende ad allontanarsi. Invece che assistere impotenti alla frattura sentimentale, gli europei dovrebbero attrezzarsi per andare oltre il sistema attuale creando un vero partenariato euro-africano che ancora non esiste. Forse è questa la strada perché il modello democratico europeo ritrovi slancio e reputazione, creando simpatia attorno e oltre sé. 
 
 

[ Mario Giro ]