Un'idea di pace

Europa e Africa possono costruire un progetto comune per riaffermare le basi umanistiche di un sogno che deve diventare realtà

Racconta Ryszard Kapuscinski in Ancora un giorno, cronaca degli ultimi momenti della colonizzazione portoghese in Angola, che, per capire cosa stava davvero succedendo sul fronte attorno a Luanda, bastava dare uno sguardo alla rada del porto dalle finestre dell'albergo Tivoli in cui erano rintanati i giornalisti, privi di telefoni o telex. All'àncora erano ormeggiate in permanenza varie navi battenti bandiere europee. I loro capitani, in contatto radio continuo con l'Europa, avevano una visione migliore di ciò che stava accadendo sul campo di battaglia rispetto a chi si trovava in trappola nella città assediata e accerchiata dalle truppe dell'Mpla (Movimento popolare di liberazione dell'Angola) e dell'Fnla (Fronte nazionale di liberazione dell'Angola) .
Quando le notizie davano la battaglia finale per Luanda ormai vicina, le navi salpavano e si allontanavano verso il mare aperto per fermarsi a qualche miglio dalla costa, sempre in vista. Quando le notizie erano migliori, ritornavano nella baia per attraccare e caricare, «come sempre», caffè e cotone. Ouesto movimento era durato settimane e bastava guardare fuori della finestra per sapere come stava andando la guerra.
Per molto tempo tale ritmo altalenante è stato il modello nelle relazioni tra Europa e Africa, così strette nel passato, poi così allentate da far sparire tutto un continente dal nostro orizzonte quotidiano. Certo il commercio continua, «come sempre», ma non basta ad avvicinare l'Africa all'Europa, se non a tratti e per motivi ben precisi e contingenti. Cos'è oggi l'Africa per l'Europa? Nel discorso pubblico il continente nero rimane sfuggente. Lo si dipinge alternativamente come terra delle opportunità economiche o come mostro demografico pronto a schiacciarci; giacimento a cielo aperto o antro di malattie e pandemie; buco nero che inghiotte gli aiuti internazionali o socio nel commercio internazionale; «lions on the move» (McKinsey) o «bottom billion» (come scrive Paul Collier) cioè l'ultimo miliardo.
La globalizzazione ha fatto arretrare la povertà estrema nel mondo; in Asia la partita è stata in parte vinta e oltre la metà dei poveri ancora esistenti si concentra ora in Africa. D'altra parte, se osserviamo come sono aumentate le diseguaglianze in Europa possiamo immaginare l'effetto dall'altra parte del Mediterraneo. C'è una lunga storia di rapporti tra Africa subsahariana ed Europa, al centro della quale si colloca la colonizzazione (ma anche la vecchia storia dello schiavismo), che provoca sentimenti controversi. Dopo aver perduto valore geopolitico dalla fine della Guerra fredda, con l'avvento della globalizzazione l'Africa ha riacquistato centralità sugli scenari mondiali. Malgrado i conflitti (soprattutto la violenza diffusa), le malattie e l'instabilità politica— che comunicano una percezione del continente come «spazio difficile» — oggi l'Africa conta di più.
Gli anni Novanta — il decennio d'oro dell'Europa — sono stati per l'Africa anni di crisi economica ma anche di democratizzazione: si sono dissolte alcune dittature come quella di Menghistu in Etiopia o la cleptocrazia di Mobutu in Zaire; è finito l'apartheid in Sud Africa. C'è stata la pace in Mozambico nel 1992 dopo un milione di morti, grazie alla mediazione svolta dalla Comunità di Sant'Egidio. Poi sono venuti gli anni Duemila che paradossalmente hanno visto l'inizio della crisi occidentale ed europea ma in parallelo lo sviluppo del continente africano, almeno fino alla pandemia.
Dalla svolta del Millennio si è parlato di «Africa Rising»: un continente nuovo con più democrazia e una classe media in espansione. Gli investimenti esteri hanno portato nuove opportunità e la crescita è rimasta sostenuta per vent'anni. Le. società civili africane sono diventate protagoniste di molte battaglie per i diritti umani e civili. Numerosi Paesi si sono incamminati verso la democrazia, i colpi di stato sembravano quasi finiti e l'Unione africana non accettava più cambi di regime violenti. Insomma circa vent'anni di buone notizie, mentre l'Europa iniziava una lenta (anche se molto confortata) discesa nel sentimento di declino, ad esempio nei confronti di un'Asia alla conquista dei mercati.
Il momento più difficile per l'Europa è stato la crisi finanziaria del 2008 che invece non ha avuto effetti in Africa. In quegli anni si è detto che «la Cina ha conquistato l'Africa». Nei primi vent'anni del XXI secolo, l'Africa è stata considerata come terreno vergine per molti settori dell'economia internazionale, in particolare quello agroindustriale con cospicua disponibilità di terra coltivabile (200 milioni di ettari, al netto delle foreste), ma anche quello delle materie prime energetiche e minerarie. Questi atout, a cui aggiungere quelli di una popolazione giovane e disposta a spostarsi, sono vantaggi comparativi che attirano investimenti. Il paradosso è stato che gli europei hanno preso le distanze dal continente proprio quando i cinesi (ma anche altri come giapponesi, coreani, malesi, indonesiani, brasiliani, turchi eccetera) si sono avvicinati. (...)
Violenza e degrado del vivere civile globale sono pericolosi ostacoli alla maturazione della democrazia in Africa come in Europa. In Europa vediamo crescere varie forme d'odio e di razzismo, manipolate da imprenditori dell'allarme sociale e del rancore, a puri fini politici. Ho parlato prima delle recenti elezioni di «piccolo interesse» che talvolta anima i responsabili politici. Il tema della guerra e della pace è oggi rilanciato dal dramma del grande conflitto tra Russia e Ucraina che ci coinvolge tutti. In Africa il fattore più preoccupante è il diffondersi della violenza diffusa e dei fenomeni criminali che rendono instabile il vivere civile, in zona urbana e rurale. Eventi di tipo latino-americano come le gang iniziano a vedersi anche in Africa subsahariana.
Tutto ciò va oltre il vecchio schema del terrorismo o dell'integralismo islamico che esiste ma non è l'unica presenza violenta. Il jihadismo si radica laddove è stato già distrutto il tessuto sociale ed etnico, come si vede in nord Mozambico, abbandonato da decenni ai predatori privati e contrabbandieri di minerali; o nel Sahel dove occupa un vuoto politico, sostituendosi a istituzioni corrotte e inefficienti. La circolazione delle armi e dei fenomeni criminali è generalizzata. Intere aree del continente sono fuori controllo da tempo, come l'est della Repubblica Democratica del Congo o il Delta del Niger, il Sahel, il Corno d'Africa. Alcuni conflitti sono stati lasciati proseguire per decenni senza intervenire, come in Somalia.
Contrabbandieri, trafficanti, terroristi islamici, ribelli nomadi, security providers, mercenari, contractors, eccetera: la guerra è diventata un mestiere (il mestiere delle armi), un affare permanente. Non è quello che abbiamo visto in Ucraina dal 2014 a oggi? E in Georgia dal 2008? E in Nagorno-Karabakh, Bosnia, Kosovo...? Conflitti lasciati senza soluzione possono improvvisamente riaccendersi e, come nel caso dell'Ucraina, diventare degli enormi pericoli globali. Soprattutto ora che si parla di rischio nucleare, credo che sia urgente una riflessione sul valore della pace che unisca Africa ed Europa: dare il giusto valore alla ricerca permanente della pace sia come soluzione di un conflitto che come riconciliazione e convivenza.
Esiste un diritto umano alla pace che Africa ed Europa possono costruire assieme: la guerra è stata troppo banalizzata come fatto naturale, eventualità normale, triste compagna della storia umana e della politica. La guerra è ridiventata popolare mentre si spegneva l'eco del grande sogno di pace nato nei lager e nei gulag, cresciuto nel calderone della grande guerra mondiale e sopravvissuto anche alla Guerra fredda e al muro. Dobbiamo riaffermare quel sogno che non può essere solo autoreferenziale per sé, ve lo posso testimoniare come mediatore per la pace in Mozambico e altrove: dimenticando di lavorare per la pace attorno a sé, l'Europa scopre con orrore di averla sprecata.
Cosa c'è di più significativo di lavorare assieme, africani ed europei, per riaffermare e ricostruire le basi umanistiche di quel sogno affinché divenga realtà? E quasi inutile parlare di democrazia e di sviluppo se prima non c'è la pace, sia come cessazione del conflitto che come riconciliazione e apprendimento del vivere assieme.


[ Matteo Zuppi ]