L'impegno sociale

Dossier. L'eredità del cardinale Martini a dieci anni dalla morte
È dalla Bibbia aperta alla storia che il cardinale muove i suoi passi verso gli ultimi

Per comprendere come si è sviluppato l'impegno sociale di Carlo Maria Martini si deve partire dal suo profondo rapporto con la Scrittura. E dalla Bibbia e da un "pensiero biblico" aperto alla storia che il cardinale muove i suoi passi verso i poveri. Lo fa negli anni Settanta, prima ancora della sua nomina ad arcivescovo di Milano, in un contesto politico-sociale in pieno fermento, dopo il '68 e il Concilio.
Certo, il clima che si viveva in quegli anni a Roma, dove dal 1969 era rettore dell'Istituto biblico, ha svolto un ruolo importante nell'apertura della sua prospettiva "sociale". Basti pensare all'inquietudine che attraversava il mondo ecclesiale, con non poche iniziative di "condivisione con gli emarginati" da parte del clero e, spesso, dì denuncia di realtà che si consideravano inaccettabili alla luce del Vangelo. Nel complesso il "sociale" era un tema emergente anche fra i religiosi residenti nella Capitale, che si interrogavano su come vivere un servizio agli ultimi, uscendo dal mondo protetto delle istituzioni accademiche o delle case generalizie. Ma più di questo clima fu la stessa Scrittura, che scelse di conoscere sin da adolescente e di studiare a fondo, a determinare il suo desiderio di vivere un'esperienza diretta con i poveri.
Lo ricordano alcune testimonianze e pubblicazioni e, recentemente, il volume di Roberto Zuccolini, La Parola e i Poveri (San Paolo), che raccontando l'amicizia di Martini con Sant'Egidio, fornisce elementi importanti per capire meglio questa sua scelta. Il gesuita, rettore del Biblico, allora quarantasettenne, si interrogava su una domanda che definiva "lacerante": «All'inizio degli anni Settanta», racconta quando era già arcivescovo a Milano, «camminavo un pomeriggio per le strade di Trastevere riflettendo su una certa lacerazione esistente, nell'immediato dopo-Concilio, tra coloro che puntavano sull'impegno con i poveri, per trasformare la società, e coloro che invece puntavano tutto sulla spiritualità. Mi dicevo: deve pur esistere una conciliazione pratica, un modo di unire concretamente, nella vita, il senso del primato di Dio, del primato della Parola, della preghiera, e un'urgenza pratica, esigente ed efficiente, di amore per i poveri, di vicinanza alla gente, alle persone più abbandonate».
Fu lo stesso Martini, che conobbe la Comunità a metà degli anni Settanta, a chiedere di cominciare un rapporto diretto con i poveri. Fino ad allora non c'erano state sue esperienze significative in quel mondo, anche se aveva conosciuto brevi periodi di servizio ai bisognosi — durante i primi anni del sacerdozio — negli ospedali e nel carcere di Chieri, in Piemonte. Alla sua richiesta la Comunità gli propose di visitare un anziano di Trastevere che viveva da solo e aveva bisogno di aiuto.
«Ricordo», racconta Martini, «un vecchietto che abitava a Trastevere, in due stanze piene di roba e molto sporche. Ci mettemmo di buona volontà a ripulirle e, pur se lui non era affatto contento, perché abituato a vivere nel disordine, lo obbligammo ad accettare il nostro servizio. Non era clericale, anzi piuttosto avverso ai preti, però si accorse che avevamo buona volontà, per cui ci lasciò fare e ci ringraziò». Il "vecchietto", che si chiamava Luigi Regoli, detto Gigi, venne citato più volte da Martini negli anni successivi per spiegare l'importanza di quel semplice incontro e ciò che ne scaturì.
Nella seconda metà degli anni Settanta, fino alla sua nomina ad arcivescovo di Milano, crebbe anche il rapporto di Martini con il mondo delle borgate romane. Nel quartiere Alessandrino andava a celebrare ogni domenica nella locale sede della Comunità — ricavata in un'ex pizzeria — mettendosi alla scuola dell'incontro con quelle persone, con il loro carico di sofferenze: storie spesso di forte marginalità. La periferia romana, per tutti questi aspetti, è stata per lui un'esperienza umana nuova che ha inciso anche nel ministero episcopale a Milano dal1980 al 2002.
È interessante ricordare che, nei primi mesi di questa sua nuova avventura, scelse di girare spesso per la città, talvolta in incognito, prendendo la metropolitana dal centro alla periferia, per visitare le famiglie più bisognose, dove non di rado serviva a tavola e si fermava ad aiutare. Nella trattazione dei temi scelti dall'arcivescovo nei primi anni del suo episcopato — come quelli presenti nella lettera pastorale Farsi prossimo (1983), basata sul commento della parabola del Buon Samaritano — riemerge, nelle parole e nei contenuti, l'esperienza pastorale e sociale vissuta negli anni precedenti.
Il 6 febbraio 1983, al suo rientro a Milano dopo la nomina a cardinale, raccomanda ai fedeli accorsi davanti al sagrato del Duomo: «Occorre ripartire dagli ultimi, da coloro da cui Gesù stesso è partito, dai più deboli, da coloro che sono soli, gli ammalati, i carcerati...».
Poveri, anziani e immigrati
Sin dall'inizio del suo episcopato Martini privilegia quindi, accanto alla predicazione della parola di Dio, l'incontro con i poveri affrontando, sempre con una visione biblica, le evidenze sociali che emergevano. Prima di tutto quella della crescente immigrazione, convinto che quando si tocca questo tema non si parla tanto di Africa o di America Latina, ma piuttosto del "futuro" dell'Europa. Martini sostiene che «l'atteggiamento nei confronti degli immigrati costituisce un tornante decisivo per la nostra cultura e la nostra storia». «Essi non sono una presenza fastidiosa, inopportuna e ancor meno sono la causa di una decadenza che prepara un futuro minaccioso, ma rappresentano una chance anche per il rinnovamento dell'Europa».
Un altro tema molto sentito da Martini fu quello della presenza della popolazione anziana nella società: «Sulla dignità della vita offerta agli anziani si misura il profilo etico di ogni società e dell'Europa». Da qui la sua battaglia contro quella che definiva "eutanasia da abbandono" e la necessità di trovare alternative all'istituzionalizzazione delle persone anziane.
Molto altro si potrebbe dire dell'impegno sociale di Martini, grazie all'incontro con i Paesi più poveri di altri continenti e le loro Chiese. Sentiva la necessità di una "globalizzazione della solidarietà" che compensasse, almeno in parte, quella creata dal mercato, con un forte anelito a soluzioni di giustizia che attingeva dal suo pensare biblico: «Oggi», diceva nel 1998, «attraverso un'informazione sofisticata, siamo caricati di problemi mondiali senza avere le forze e le chiavi interpretative per ríspondere. Non abbiamo delle risposte globali.[...] Però io rimango con la fame di soluzioni globali». 


[ Andrea Riccardi ]