Signor Presidente, grazie di essere qui con noi!
È un onore e una gioia. Ha fatto un piccolo viaggio tra tante domande che salgono da situazioni di povertà e vulnerabilità, ma ha potuto anche vedere che le risposte ci sono. Risposte che vengono dalla passione e dall’amore per le persone, oltre che dall’ascolto del bisogno.
Oggi, con lei e i tanti che sono in questa “Casa dell’amicizia”, guardiamo al futuro di Roma come una città solidale e fraterna. Verso questo sogno si muove una Comunità in uscita nelle periferie della città e del mondo. La città è stata sempre il nostro orizzonte, fin dai primi passi. Soprattutto la città nascosta e sconosciuta, quella delle povertà e dell’esclusione. I primi bambini della scuola della pace Andrea Riccardi e i suoi amici li incontrarono sul greto del Tevere, nelle baracche – erano tantissime alla fine degli anni Sessanta -popolate di immigrati dal Sud dell’Italia. Nacque la Scuola della Pace e i tanti percorsi di solidarietà che giungono fino a oggi. E che qui hanno trovato risposte ai nuovi bisogni delle persone, soprattutto in tempi difficili come quello della pandemia.
Roma ci ha aperto all’universale, da Roma abbiamo incontrato tanti mondi, spesso di povertà e di conflitto. Qui è nato anche il nostro impegno per la pace, che lei ben conosce. Oggi la pace è il desiderio di milioni di persone, in un mondo diviso e segnato da conflitti di vario genere. Non ci siamo tirati indietro da questa responsabilità. Diceva Giovanni Paolo II: “La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana”. Oggi sentiamo ancora più attuale questo invito. Vogliamo essere un incoraggiamento e una via per quanti non credono alla logica dello scontro, della contrapposizione violenta, dell’odio, lavorando ogni giorno per superare i conflitti, le logiche di divisione e ricucire il tessuto della società laddove è lacerato. In tante situazioni è necessario uno sguardo profondo, ma anche amico e partecipe, libero dal distacco dell’osservatore impaurito. Non si può restare indifferenti!
La vita nella periferia di Roma e nelle periferie del mondo ci ha dato tante lezioni. Ci ha insegnato tanto. Innanzitutto, a crescere in umanità. Gli incontri con persone di ogni condizione e provenienza, anno dopo anno, sono stati la nostra scuola: la strada come storia. Chi di noi ha incontrato un povero, si è fermato ad ascoltarlo, ne è divenuto amico, ha ricevuto ciò che non si sarebbe immaginato.
C’è bisogno di costruire legami ad ogni livello della società che contrastino la frammentazione, l’indebolimento della vita dei vulnerabili, la conflittualità. La casa dell’amicizia è un’immagine di quello che cerchiamo di ogni giorno ormai da 55 anni, sporcandoci le mani in tante situazioni anche dolorose, l’immagine della fraternità universale (nella coscienza che siamo tutti legati).
L’agenda non può essere solo dettata di emergenza in emergenza, quanto dev’essere ispirata da una visione. Scrive il rabbino Sacks - e con le sue parole che lei stesso ha citato in un’occasione concludo:
“…un paese è forte quando si prende cura dei deboli, … diventa ricco quando si occupa dei poveri… diventa invulnerabile quando presta attenzione ai vulnerabili. Se ci sta a cuore il futuro della democrazia dobbiamo recupere quel senso di morale condivisa che ci unisce l’uno all’altro in un legame di compassione e attenzione reciproca. Non c’è nessun “io” attuabile senza il sostegno di un “noi”.” Siamo qui per fare concretamente la nostra parte e la ringraziamo di essere al nostro fianco.