Di Segni "Con noi ebrei adesso il dialogo crescerà"

L'intervista al rabbino capo di Roma
"Con Zuppi questa strada ora diventa più larga. E magari si potranno risolvere più facilmente quelle difficoltà che talvolta si presentano"

C'è stato un periodo, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, in cui nei corridoi del liceo classico Virgilio, a via Giulia, incrociavano gli sguardi un gruppo di ragazzi romani destinati a farsi strada nella vita. Da Francesco De Gregori allo scomparso David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, dal fondatore della comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, fino al neo presidente della Cei, "don Matteo" Zuppi.
In quelle aule cresce e si forma anche Riccardo Di Segni, da oltre vent'anni rabbino capo della comunità ebraica di Roma. Il capo della Chiesa italiana e il capo della comunità ebraica romana, da sempre entrambi in prima linea nel dialogo interreligioso, cresciuti negli stessi anni nello stesso liceo.
Una coincidenza sorprendente, ma da ragazzi vi frequentavate?
«In effetti la circostanza colpisce anche se, per la verità, io ero più grande di lui: presi la maturità nel '67 ed ero pure un anno avanti. Ne vuole sapere un'altra? Il mio compagno di banco al liceo era Pio Cerocchi, che sarebbe diventato direttore del Popolo...Non ricordo però di aver frequentato al tempo don Matteo ma rammento invece Andrea Riccardi, che poi fondò Sant'Egidio. Ancora oggi tra noi giochiamo su questo concetto di squadra...».
Con Zuppi invece vi siete ritrovati da adulti?
«Sì certo, ci sono state molte occasioni e molti incontri, anche perché io personalmente da sempre ho rapporti intensi e cordiali con la comunità di Sant'Egidio, di cui Zuppi è stato uno dei pilastri. Di lui in particolare ricordo un episodio divertente. Una volta, con una delegazione rabbinica, fummo ricevuti dal Papa in Vaticano. Al termine dell'udienza, sulla soglia dello studio papale, arrivò don Matteo, convocato a colloquio dopo di noi. Era così strano incontrarsi in quel posto e, non appena incrociammo gli sguardi, comparve spontaneo un sorriso interrogativo sulla faccia di entrambi. La nostra espressione tradiva lo stesso pensiero: ma che ci fai tu qui?».
Lei ha accolto due pontefici nel tempio di Roma, Benedetto XVI e Francesco. Con Zuppi come sarà il dialogo con voi ebrei?
«Con la Conferenza episcopale italiana noi abbiamo dei rapporti consolidati e dei canali ufficiali, ci sono dei luoghi deputati dove si discutono problemi comuni. Voglio dire con questo che la strada è già aperta, ma certamente con Zuppi questa strada ora diventa più larga e magari si potranno risolvere più facilmente quelle difficoltà che talvolta si presentano. Anche con il rabbinato di Bologna in questi anni i rapporti con il cardinale sono stati più diretti che ufficiali».
Parlare con Zuppi è più semplice?
«La Chiesa-Istituzione ha le sue regole, noi con Sant'Egidio abbiamo un altro tipo di comunicazione, c'è un rapporto anche di amicizia. Ma fermiamoci qui, non vorrei rovinargli il curriculum!».
Molti osservatori si aspettano una svolta rispetto al passato. Non tanto rispetto alla presidenza del cardinal Bassetti, quanto alla lunga era di Ruini e Bagnasco. Secondo lei ci saranno differenze?
«Non mi permetto di giudicare in casa d'altri, come osservatore esterno posso avere una visione parziale e magari persino falsata. Da un punto di vista culturale è chiaro che il tipo di approccio di Zuppi è differente. Lui è un prete di strada, un religioso che vive accanto alle persone. Avete visto del resto l'impatto mediatico della nomina, l'atmosfera che già lo circonda...».
Il teologo Vito Mancuso ha scritto che il mondo in cui viviamo sembra appartenere più al diavolo che a Dio, c'è sempre meno spazio per il sentimento religioso. In questo tempo quale può essere il contributo comune di due religiosi come voi?
«C'è un obbligo di testimonianza di valori che si rispecchino nella coerenza e nell'esempio personale, l'idea di una religione vissuta non come una coercizione. In generale, una visione differente della realtà, nel segno dell'aiuto e del sostegno all'altro, non del potere».
E come ebrei cosa vi aspettate dalla Chiesa di Zuppi e cosa chiedete?
«Chiediamo al cardinale Zuppi le stesse cose che abbiamo chiesto ai suoi predecessori: uno sforzo comune sui problemi educativi e formativi, un impegno nella lotta contro l'intolleranza, la presentazione dell'ebraismo in maniera amichevole. Ci sarà tempo per discuterne, intanto gli mando i miei auguri più sinceri». 


[ Francesco Bei ]