Dalle borgate romane alla pace in Mozambico

Impegno per la fraternità
E nel 2016 il viaggio della memoria con 450 studenti ad Auschwitz assieme a Guccini

L'impegno per la pace e la fraternità - in Italia e nel mondo - comincia presto per Matteo Maria Zuppi. Prestissimo, quando da liceale negli anni '70 si avvicina alla Comunità di Sant'Egidio e fa volontariato con i bambini delle periferie, i rom delle baraccopoli, gli anziani soli, i senza dimora. Poi la vocazione, il seminario e, giovane prete, negli anni '80 tesse con pazienza la trama per la pace in Mozambico. E ancora in Africa, in Burundi, sarà a fianco di Nelson Mandela per la riconciliazione tra i paesi della regione dei Grandi Laghi.
Da Cardinale di Bologna non ha smesso di spendersi per le tragedie contemporanee dei profughi, dall'Africa, come dall'Ucraina. Senza dimenticare le tragedie del passato, accompagnando 450 studenti a marzo 2016 in un "viaggio della memoria" nei lager, in singolare compagnia di chi proprio su Auschwitz ha scritto la canzone più famosa, Francesco Guccini, ma non c'era mai stato.
Giovane seminarista, Zuppi assieme al fondatore di Sant'Egidio Andrea Riccardi raccoglie a Roma l'appello del vescovo mozambicano Jaime Gonçalves. L'ordinario di Beira chiede aiuto per il suo paese devastato dalla guerra civile. Don Matteo si mette a studiare portoghese e negli anni '80 comincia a fare la spola col paese africano assieme a Riccardi. Costruisce rapporti con entrambi le parti in guerra, col Frelimo socialista e la Renamo conservatrice, in anni in cui anche l'Africa riflette la contrapposizione Usa-Urss.
Un lungo lavoro diplomatico che prepara la fase formale degli accordi che in due anni porta alla firma della storica pace del 1992, proprio nell'ex convento di piazza Sant'Egidio a Trastevere. Poi c'è l'America Latina. Di don Matteo Zuppi, divenuto viceparroco della Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Sant'Egidio ricordano anche il contributo alla diffusione della Comunità in Sud America, a cominciare dall'Argentina.
Nel 1994 l'Africa sarà teatro di uno dei più tragici genocidi del XX secolo, il massacro di circa  un milione di Tutsi da parte degli Hutu. Violenze che preparano il terreno ad altre due guerre che tra il 1998 e il 2002 coinvolgono il Burundi che con Uganda e Ruanda si scontra con la Repubblica democratica del Congo, sostenuto da Sudan, Zimbabwe, Angola, Namibia e Ciad. Don Zuppi parte di nuovo per l'Africa dove partecipa, ad Arusha in Tanzania, al processo di pacificazione, guidato da Nelson Mandela, del Burundi. Il grande leader sudafricano della lotta all'apartheid affida proprio a Zuppi una delle quattro commissioni del negoziato, quella per il cessate il fuoco. I negoziati hanno successo, anche se la pace raggiunta è un equilibrio difficile.
L'attività tenace di "costruttore di pace" il neopresidente dei vescovi italiani non l'abbandona nemmeno quando si incardina nella diocesi di Bologna. Il cardinale Zuppi leva alta la sua voce un anno fa, in occasione dell'ennesimo naufragio di migranti a largo di Tripoli del 23 aprile 2021. «Non si è risposto a un Sos — disse allora — e quei poveri corpi sono una grande accusa per tutti di omissione di soccorso: se non si salva, si uccide». La tragedia delle stragi nel Mediterraneo era stata già affrontata da Zuppi nel libro scritto assieme a Lorenzo Fazzini nel 2019 per Piemme, "Odierai il prossimo tuo come te stesso (Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente)", in cui fra l'altro denunciava la deformazione "bellica" del linguaggio che trasforma i naufragi in "sbarchi" e i profughi in "invasori".
Profughi uguali ai tanti ucraini scappati in questi ultimi tre mesi dalle devastazioni dell'invasione russa. Il cardinale di Bologna ha avuto ancora a inizio aprile parole di condanna contro la corsa al riarmo scatenata dal conflitto: «E' la cosa peggiore che possiamo fare. Servono aiuti e ci serve il disarmo». Perché una cosa è il «diritto alla difesa dell'Ucraina, ma correre al riarmo no. Dobbiamo trovare una fine alla guerra e dobbiamo ripudiarla, come sta scritto nella Costituzione, perché non sia più lo strumento per risolvere i problemi».


[ Luca Liverani ]