Oggi Francesco fa ritorno a Lesbo, volto egoista del Vecchio Continente

Ci sono ancora le gabbie per i minori non accompagnati. Piccoli container ipocritamente colorati, ma sormontati da reti arrugginite. I guardiani armati perlustrano come fosse una Guantanamo nell'Egeo. La bandiera con le stelle dell'Unione Europea all'esterno del campo non è una beffa. Ma è il vero volto, egoista e spietato, dell'Europa di oggi.
Non dev'essere un bel traguardo: scappare dai taleban per finire imprigionati su una collina di sassi che ti stringe e guarda le coste turche, esattamente la terra che volevi lasciarti alle spalle. I numeri, del resto, dicono che quasi nessuno di loro dovrebbe stare a Lesbo più di qualche giorno. Perché lo sanno tutti che a Lesbo le polemiche strumentali di sovranisti e neofascisti, gli stessi che periodicamente si fanno notare per la caccia agli stranieri, non hanno agibilità. Quasi tutti gli stranieri, infatti, hanno il diritto di ottenere protezione.
Dei circa 2.200 presenti, il 72 per cento è di origine afgana, un terzo sono minori. E da quanto i taleban si sono ripresi l'Afghanistan, nessuno può dire che quelli non sono profughi. Perciò si sono intensificati i respingimenti, a volte mortali, operati dalle autorità di Atene con la complicità della solita Frontex, l'agenzia europea per la protezione dei confini che sta appaltando (con un fondo Ue da 21 miliardi) il controllo delle frontiere alle tecnologie militari delle multinazionali dei conflitti. Un fiume di euro che si assommano agli oltre 6 miliardi messi sul tavolo del negoziato con la Turchia, affinché Ankara si lasci sfuggire il minor numero di profughi. Per l'accoglienza si spende molto meno.
«Anche se le condizioni sono migliorate, sono ancora estremamente carenti. La maggior parte della gente vive in container e tende, senza accesso ai servizi igienici. C'è un continuo bisogno di migliorare le condizioni abitative, alimentari e assistenziali», lamenta Anastasia Spiliopoulou, direttrice di Caritas Hellas. «I profughi vivono sull'isola di Lesbo in condizioni inadeguate e non dignitose, nel terrore di essere rimandati indietro», denunciano gli operatori di medici "Medici senza frontiere", che sull'isola fornisce assistenza medica e
psicologica ad adulti e bambini. D'estate il caldo non da tregua, e ai profughi non è certo concesso di rinfrescarsi nelle spiagge affollate di turisti.
«D'inverno le persone sono esposte a venti gelidi e ad ogni tipo di condizione atmosferica», aggiungono da Msf. «I bagni chimici sono in cattive condizioni, mentre le poche docce disponibili non hanno nemmeno l'acqua calda. Le persone possono uscire dal campo solo per emergenze sanitarie o altri motivi medici, altrimenti hanno solo tre ore a testa di libertà, due volte a settimana». Peggio che in libertà vigilata, scontano una pena senza scadenza.
Tra gennaio e ottobre 2021, le équipe di medici e psicologi di Medici senza frontiere hanno assistito circa 70 bambini con disturbi psicologici. «Più della metà - si legge nei resoconti - soffre di disturbi post-traumatici da stress, mentre molti presentano ansia e depressione. Quasi la metà di loro ha assistito a episodi di violenza o omicidi (40%), in molti hanno vissuto almeno un episodio che ha messo a rischio la propria vita (44%). Circa il 20% dei pazienti di Msf ha subito abusi o maltrattamenti».
Chi vuole apportare un sollievo a proprie spese non è ben visto. Come i Kempson, la coppia di benestanti inglesi che a Mitilene, il capoluogo, aveva comprato una villa dove trascorrere in santa
 pace anni da trascorrere godendosi le rendite di investimenti andati bene. È finita che hanno venduto tutto per acquistare e affittare capannoni dove ospitare i profughi, avviare attività ricreative, aprire una mensa. Le autorità li accusano di essere dei compari dei trafficanti. E se non fosse per le periodiche valigette, non di rado consegnate da porporati con passaporto diplomatico, non saprebbero come mandare avanti l'oasi di umanità nel deserto dei diritti negati.
Merito anche dei volontari di 
che con pazienza e dedizione si occupano specialmente delle famiglie
con bambini, e sono riusciti a instaurare relazioni costruttive con i sindaci e i ministeri. «Lesbo non è più una emergenza ma è ancora terra di primo approdo e annegamenti», ha ricordato al Sir Monica Attias, referente della Comunità che dall'Isola Tiberina si è ormai trasferita nell'arcipelago greco.
«Il problema - ribadisce - è che i profughi rimangono qui mesi e anni in attesa delle pratiche burocratiche per la richiesta di asilo». Anni trascorsi spesso con una paura che non fa sentire i taleban così lontani. La sorveglianza armata serve a impedire che i profughi scappino, non che siano davvero protetti dalle tensioni interne che, tra gruppi etnici spesso in reciproco astio, riesplodono periodicamente.
«Di notte le donne non vanno alle toilette pubbliche per paura di essere violentate», racconta Attias. E il fatto che «solo 40 bambini hanno la possibilità di andare a scuola regolarmente», spiega in modo chiaro che l'Europa, a Lesbo, sta tradendo se stessa. E a papa Francesco, oggi, lo racconteranno i figli delle diaspore, prigionieri delle paure del Vecchio Continente.

 


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