Un giorno di ordinaria solidarietà

Una domenica-tipo sul Lungotevere con i volontari e le vittime di nuova e vecchia povertà

Il Lungotevere è sia centro che periferia a seconda delle zone, ma per alcune persone non è né l'uno né l'altro, ma solo un non luogo sommerso, dove non si sa nulla della vita di sopra, dei "salvati". Ed è per questo che in un giorno d'ottobre abbiamo deciso di percorrerlo a piedi, mentre - al di sopra dei ponti - correva una tiepida giornata elettorale per la Capitale.
Muovendosi fra i quartieri di Roma, o meglio, sotto i quartieri, con un po' di fatica nella comprensione di alcune scene e alcuni gesti, balzavano agli occhi due itinerari speciali, da nord a sud: quello della solidarietà, quello dell'indifferenza. E poi ve ne era un terzo, onnipresente e scandaloso: quello della fame. Sul Lungotevere i romani sanno che il lavoro dei volontari inizia presto, al mattino, per non impedire a nessuno di vivere una domenica dignitosa, per quanto possibile.
Esiste un volto della Capitale buio, senza l'essenziale. I numeri son stati pubblicati direttamente dal Campidoglio: con la pandemia si è verificato un 70% di contrazione del guadagno, una perdita di lavoro del 39%, che ha mandato per strada donne sole con bambini. Tanti dichiarano, nella recentissima indagine "SocioLab", di non avere più una speranza di futuro e di non avere neanche qualcosa da mangiare. La cosa più impressionante è che questa povertà non è gridata con rabbia, ma sussurrata con rassegnazione.
I dati ufficiali dicono che i disagi alimentari iniziano già dalla metà del mese, per alcuni; per altri sono una condizione quotidiana, che rinforza, sempre più, la voglia di lasciarsi andare, in mezzo ai topi e ai rifiuti. Quella domenica d'ottobre, però, non ha voluto lasciare spazio ai dati impietosi, ai numeri senza volti delle statistiche, ma ha voluto guardare, cercare un po' di speranza. Per queste ragioni, e molte altre buone ragioni, è stato utile andar lì per un reportage e raccontare una Capitale che si muove, sotto e sopra il fiume, verso gli altri e in particolare verso la loro fame.
Alle ore 11 di quella domenica, per esempio, a Roma Nord, per il progetto «RomaAmor», si stava lavorando intensamente per una domenica di ragù, con 250 piatti da distribuire, poi, fino a San Pietro e al quartiere Tuscolano. L'attività è svolta, sempre, con i volontari di una parrocchia di via Narni.
Alle ore 12, invece, alla Comunità di 

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 si stavano preparando i pacchetti in uscita con pane donato dai panettieri per i senzatetto di tutta Roma, anche per quelli radunati al cosiddetto "Binario 95", la casa di chi non ha casa, di via Marsala, e anche per coloro che sono quotidianamente accolti dalle strutture messe a disposizione dal Pontefice, a piazza 

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In quella domenica, la struttura di Val Melaina era in riposo, ma dal martedì successivo riprendeva il suo viaggio, con più di 150 volontari, a pieno ritmo, per colmare quella fame, che non riguarda solo lo stomaco. In quasi tutti i quartieri di Roma, come ben noto, la Caritas opera costantemente e in quella domenica c'era la distribuzione anche al quartiere Flaminio, vicino Ponte Milvio, con l'aiuto di alcune mamme volontarie, diventate amiche all'uscita di una scuola, insieme alle mamme della Carità de La Salle. Loro andavano a Val Melaina, impegnandosi fino al lunedì sera nella preparazione di cibo da donare.
Ore 13: i pasti erano in distribuzione, viaggiando per tutta Roma, cercando di raggiungere un gran numero di persone, per esempio intorno al Nuovo Salario, dove ci sono sempre, ogni giorno, per chi è della zona, Riccardo, Anita, Pavlov, in attesa per un piatto di pasta e qualche sana chiacchera, per ricordarsi, almeno per un giorno, di avere un parere personale.
Ore 14-16: In queste due ore il Centro Astalli, in collaborazione con l'Elemosineria apostolica e la Regione Lazio, ha servito una mensa per un centinaio di rifugiati. Niente carne di maiale e niente alcool, per rispettare tutti, ma qualche dolcetto e, perché no, un caffè. Sono (e siamo) restati tutti insieme fino alle 16, poi Gianni e Maria hanno iniziato a riordinare, mentre Samuele ha organizzato il 

  • giro

 serale fino a via della Conciliazione, prima che le tende si riaprano per andare a dormire, su quel marciapiede che è mensa e letto al tempo stesso. Il 

  • giro

 della sera include il Lungotevere dei Mellini e della Vittoria, zone eleganti e storiche per alcuni, vuote per i "sommersi` in attesa di un pasto.
In questi giorni di novembre, Actioaid ha ricordato che «la povertà alimentare si presenta con volto di donna: sono l'81% delle persone intervistate, ín un panel rappresentativo della composizione della popolazione, che si rivolgono agli enti del territorio e alle parrocchie per un po' di pane». Anche nelle cosiddette famiglie "normali", ma a basso reddito e con una casa popolare, la situazione, al momento, a Roma, non va meglio. Alcune donne - fra cui Teresa - che ha l'impegno diretto nella gestione della spesa e della sua ripartizione tra la famiglia, racconta il carico dello stress legato alla mancanza di cibo e, come molte altre mamme, per prima rinuncia alla propria parte per darla ai figli.
Le famiglie straniere sono il 60% del campione del report di Actionaid, perché particolarmente esposte a questo fenomeno di povertà alimentare, anche se si sono stabilite in Italia da molti anni e sono inserite nella comunità cittadina. Eppure loro faticano il doppio per una spesa che è appena sufficiente.
Tra le famiglie più vulnerabili ci sono poi quelle che svolgono anche funzione di caregiver: in 9 famiglie intervistate, racconta Actionaid, è presente una persona disabile, che richiede assistenza continua. Oltre il 20% di coloro che li assistono, inoltre, dichiara di aver perso il lavoro durante la pandemia e molte altre di aver visto ridurre significativamente le ore di lavoro, con ripercussioni gravi sul reddito reale disponibile; per molti la situazione economica è diventata ancor più critica perché è venuto meno il reddito da lavori precari (a chiamata, ambulanti, badanti).
Ad emergere con forza è «la difficoltà a far fronte al cumularsi delle spese per i beni primari, poiché, spesso, il guadagno mensile della famiglia viene usato per pagare affitto e bollette (grande è infatti la paura di perdere la casa) e il cibo - assurdamente - diventa quasi un bene secondario, a cui relegare un budget esiguo e che vede escludere gli alimenti più costosi, come quelli proteici». La pandemia ha reso gli italiani, in generale, più sensibili agli sprechi, con «ben il 94% che è diventato attento a evitare dibuttare nella spazzatura gli alimenti che acquista», come si evidenzia nel Rapporto Coldiretti/Censis.
Queste statistiche, pur utili per il monitoraggio della realtà, raccontano ben poco dell'importanza di questi gesti di solidarietà, in una Capitale, che, a volte, per grandezza e solitudini, produce un effetto straniante: non dicono quasi nulla di come Armida, generalmente su una scaletta di sanpietrini del rione Borgo da mattina a sera, aspetta quel piccolo pasto, che lei chiama "l'abbraccio fatto di farina". In un periodo in cui la povertà è aumentata in modo significativo, soprattutto fra i più giovani e i più anziani, le food banks (o banche del cibo), che si occupano di recuperare e redistribuire alimenti in eccesso, si sono ritrovate a dover fare i conti con numeri preoccupanti, sia nei primi mesi di pandemia che oggi, mentre si tenta la risalita. Questa situazione, in realtà, è stata monitorata dagli esperti per tutta Europa, ma è impressionante verificare coi propri occhi quante attese di cibo esistono per tutto il Lungotevere.


[ Dorella Cianci ]