Poletti, uomo del dialogo

L'impegno del cardinale ricordato nel convegno a 30 anni dalla fine del suo ministero

"Un padre, un uomo di Dio, un maestro di sapienza, un pastore infaticabile nel suo impegno a favore dell'unione". Questo è stato Ugo Poletti per il cardinale vicario Angelo De Donatis che giovedì, nell'Aula della Conciliazione del palazzo Lateranense, ha aperto i lavori del convegno di studi dedicato al cardinale che fu vicario della diocesi di Roma dal 1973 al 1991.
Occasione per ricordare il suo impegno pastorale nel trentennale della conclusione del servizio come vicario. "L'uomo del dialogo", come in tanti lo hanno definito, «ha lasciato una grande eredità fatta di esperienze spirituali, di rinnovamento, di strutture, di creazione e potenziamento di opere di carità - ha detto De Donatis -. Sotto la sua guida la Chiesa di Roma si è interrogata sulla propria identità e sulle proprie responsabilità di fronte alle inquietudini che attraversavano la città. Oggi la sua operosità trova ampi riscontri nel cammino sinodale che la diocesi sta compiendo».
L'incontro, durante il quale sono intervenuti coloro che hanno conosciuto e collaborato con Poletti, è stato «fortemente voluto dal cardinale De Donatis» nell'ambito del cammino pastorale della diocesi che negli anni scorsi si è soffermato sull'importanza di fare memoria, come ha spiegato monsignor Walter Insero, direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali del Vicariato. Diffuso anche l'opuscolo, curato da monsignor Leonardo Sapienza, che raccoglie testi, alcuni inediti e autografi, sul rapporto fra Paolo VI e Poletti.
Nel 1972 Poletti da pro-vicario generale di Roma «si rivolse ai parroci - ha ricordato De Donatis - perché collaborassero al fine di attuare il suo programma che fin dall'inizio richiese il dialogo della Chiesa con la città e considerò urgente raggiungere i luoghi dove la Chiesa non era presente». Nel marzo 1973 divenne cardinale vicario e orientò la sua attenzione sulle realtà sociali emarginate dalla scena cittadina. Da qui prese le mosse il celebre convegno sui "mali di Roma" del 1974. Il suo programma pastorale, ha aggiunto il vicario del Papa, «ebbe come obiettivo la formazione di una comunità cristiana autentica, capace di vivere in unità e in comunione di carità ad ogni livello. Solo così la comunità cristiana sarebbe stata segno profetico, avrebbe testimoniato la verità nella carità, si sarebbe posta al servizio della giustizia».
Giuseppe De Rita, presidente del Censis, che collaborò all'organizzazione del convegno del 1974, ha posto l'accento su tre fronti sui quali Poletti si impegnò, a partire «dalla soggettività sociale della Chiesa romana che nacque con lui negli anni '70». Si è fatto inoltre promotore di «una Chiesa di popolo la cui crescita veniva dal basso. Suo grande tentativo è stato quello di combinare la responsabilità sociale con quella pastorale con l'attenzione alle periferie, alla formazione dei parroci e ai diversi settori della società civile».
Mauro Velati, ricercatore di Storia della Chiesa, parlando di Poletti come parroco a Borgo San Martino, nella periferia di Novara (1946-51), ha dato risalto alla volontà di essere «padre di tutti, non solo dei frequentatori della parrocchia. Era proprio ai più lontani che rivolgeva più spesso il suo pensiero».
Nel 1964 fu chiamato a Roma a dirigere le Pontificie opere missionarie e «il suo obiettivo - ha detto Augusto D'Angelo, docente di Storia contemporanea alla Sapienza - fu quello di prepararle al post-Concilio e portarle a una visione universale del sacerdozio».
Dal 1967 al 1969 Poletti fu arcivescovo di Spoleto e Valerio De Cesaris, rettore dell'Università per Stranieri di Perugia, ha evidenziato che «in soli due anni il suo episcopato segnò una svolta nella vita della Chiesa a Spoleto». Centrale «il tentativo di indirizzare fin da subito la diocesi nella via della ricezione del Concilio». Sessione pomeridiana del convegno interamente dedicata al Poletti "romano".
«Dopo il Vaticano II - ha spiegato lo storico Marco Impagliazzo - Paolo VI volle attuare un'opera vigorosa di rinnovamento nella Chiesa di Roma, e Poletti rappresenta un elemento di rottura con la tradizione essendo il primo vicario in epoca contemporanea a non essere già cardinale al momento della nomina, né un ecclesiastico di fama. Il Papa lo nominò dopo aver consultato alcuni parroci romani dopo la morte improvvisa del cardinale Angelo Dell'Acqua», perché «nei tre anni di attività come vicegerente si era impegnato in un rapporto diretto e personale con il clero diocesano e inoltre conosceva già bene la città e le sue periferie, dove si recava spesso guidando da solo la sua macchina. Era dunque una figura pastorale, su cui il Papa voleva puntare per ricomporre la diocesi, polarizzata da forti tensioni». Fu in quel contesto, ha continuato l'esperto, che «maturò il convegno del febbraio 1974 sulle attese di carità e giustizia della città, meglio conosciuto come il convegno sui "mali" di Roma». Nella conferenza stampa di presentazione, «il cardinale Poletti pronunciò parole radicali - ha ricordato Impagliazzo -, chiedendosi: "Ha la Chiesa qualcosa da dire alla società di oggi? Ha da dire che il mondo attuale è inaccettabile", e fu per questo duramente criticato, specialmente dalla Dc e da Andreotti».
Anche lo storico Andrea Riccardi ha evidenziato come «Poletti, che aveva in realtà un'idea di governo della Chiesa come servizio, sullo stile di Paolo VI, venne criticato per il suo modo di operare, accusato di essere un accentratore perché decideva sempre come pensava lui» mentre «era un uomo mite, di letture e di incontri, nonché uno scrupoloso amministratore». Più di tutto, «nei 20 anni di attività a Roma - ha continuato Riccardi - si è fatto conoscere per la sua capacità di relazione», perché essere il cardinale vicario «per lui significava prima di tutto entrare in contatto con il mondo cattolico con un approccio inclusivo di tutte le realtà e non gestire una struttura».
Anche i tre interventi della tavola rotonda hanno messo in luce sia la «sapienza di governo» di Poletti, sia la sua umanità, dal vescovo Luca Brandolini al vescovo Valentino Di Cerbo a monsignor Leonardo Sapienza.


[ Roberta Pumpo ]