Terza età, i nuovi invisibili

Solidarietà. Monsignor Vincenzo Paglia lancia l'allarme in un saggio edito da Piemme: anche la Chiesa è in grave ritardo
Troppi anziani vivono soli e dimenticati. Un'emergenza sociale che va affrontata

Filomena era orgogliosa della sua lunghissima chioma che esibiva girando per le strade di Trastevere. Anziana e povera, i familiari la misero in una residenza per la terza età e lì le imposero subito di tagliarsi i capelli. Perse così, nella solitudine, la sua identità. Diventò estranea a sé stessa e morì poco dopo.
Monsignor Vincenzo Paglia la ricorda nelle prime pagine del suo nuovo libro L'età da inventare (Piemme). L'arcivescovo è presidente della Commissione per la riforma dell'assistenza sanitaria e sociosanitaria, istituita dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Inusuale che quel ruolo sia svolto da un prelato ma non vi è persona che conosca più di Paglia - anche per la sua lunga esperienza nella Comunità di 
 Sant'Egidio - il dramma dell'emarginazione degli anziani.
La pandemia ha causato più di 132 mila morti. La stragrande maggioranza di loro erano anziani. Si è quasi persa un'intera generazione. Ma, colti dalla comprensibile ansia di riprendere il cammino della vita produttiva, ce li siamo dimenticati per strada. Di sicuro non hanno imparato nulla dalla tragedia del Covid quei cittadini che si ostinano, potendolo fare, a non vaccinarsi. Ma anche il resto della società, intrappolata in un processo di rimozione, ha qualche colpa. Se non pensiamo per tempo ad affrontare - anche con un'assicurazione obbligatoria - l'esplosione della non autosufficienza (sono 2 milioni e 700 mila tra i 7 milioni di ultrasettantacinquenni) ci troveremo presto a fare i conti con un universo di sofferenze croniche che ricadrà anche sulle giovani generazioni. Ma non è solo una questione di qualità dell'assistenza e di risorse adeguate. La vecchiaia va reinventata come una stagione della vita ricca anche di bellezze ed emozioni.
Paglia cita il teologo ortodosso Olivier CLément. Nella tradizione bizantina, Dio manda un angelo a soccorrere gli anziani nell'ultimo tratto di vita per evitare che la loro anima cada nel vuoto. «Ma accade - racconta Paglia - forse per una preghiera di intercessione, che Dio cambi la propria decisione e quest'uomo viva ancora. L'angelo, a questo punto, riceve l'ordine di ritirarsi. Senza essere visto, lascia al morente gli occhi che aveva sulle ali».
Ecco, riassunta nelle parole di Paglia, una delle grandi virtù degli anziani: vedono da vicino ciò che gli altri vedranno a loro tempo. Sono come degli esploratori. Sono saggi testimoni. La nostra avanguardia.
Il teologo e scrittore cattolico Romano Guardini ammoniva però che «la comunità deve dare la possibilità a tutti di invecchiare nel modo giusto, perché nessuno può darsela da sé». Se è vero che la società deve assicurare assistenza non solo sanitaria, ma anche sociale (la solitudine uccide più delle malattie ha scritto Andrea Riccardi) è altrettanto indispensabile rivalutare la condizione civica degli anziani, tutelando la loro dignità di cittadini. Non sono un peso e tantomeno uno scarto. Il nostro grado di civiltà si misurerà sempre di più da come saranno curati, rispettati e amati in uno spirito di riconoscenza e di solidarietà intergenerazionale. Se le residenze per anziani saranno simili al cronicario in cui trovò morte prematura Filomena, avremo fatto un passo indietro. Verso una nuova barbarie dell'egoismo e dell'indifferenza.
Gli anziani debbono rimanere là dove vivono da sempre. Aiutati, assistiti. Questo è l'obiettivo. Realistico? Non sappiamo. Doveroso? Certo. Paglia ricorda che il 50 per cento degli ultraottantenni vive solo. E cita una novella di Luigi Pirandello: Ho tante cose da dirvi. Una donna, rimasta vedova, continua a invitare gli amici, ma nessuno accetta di condividere come un tempo le serate. Erano tutti interessati al marito. Potente.
Quanti sono gli invisibili dispersi nelle nostre città, chiusi nel loro piccolo mondo di ricordi? «Una società che sa accogliere la debolezza degli anziani - scrive Paglia - è capace di offrire a tutti una speranza per il futuro». E Guardini sosteneva che in questo modo «il vecchio perde l'astio nei riguardi della vita che gli scivola di mano e l'invidia per coloro che l'hanno ancora piena».
Colpisce che Paglia accusi anche la Chiesa di essersi dimenticata, nel rinnovamento conciliare, della vecchiaia, trattata alla stregua di «una palude da cui nulla ci si poteva aspettare» e nonostante Paolo VI fosse «un grande esperto di umanità». Un'autocritica che sorprende. «Gli anziani hanno bisogno di carità, offrono carità e generano carità». La coscienza della dipendenza, dell'aver bisogno degli altri, è il carisma della vecchiaia. «E ciò spiega, nella Bibbia, la potenza generativa della vita dell'anziano». Gesù dice a Pietro sulla riva del lago di Tiberiade: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani». Ma dice anche a Nicodemo che 
«la vecchiaia è un'occasione di rinascita». Una stagione da reinventare, da rivalutare. Non è il tempo per mettere i remi in barca ma per vivere «rinati dall'alto».
Paglia nel suo libro riprende la figura di suor Emmanuelle, missionaria francese che aiutava i poveri in Turchia ed Egitto, morta a cento anni nel 2008. Diceva della vecchiaia: «E il periodo più bello della mia vita perché sono ricca di tutti gli incontri che ho fatto».
Giunto anch'egli al traguardo del secolo, Giuseppe Prezzolini osservava con acida lucidità le vicende italiane. Rita Levi Montalcitii, che di anni ne visse 103, sosteneva che la giovinezza, non anagrafica, è nell'avere più progetti che rimpianti. E lei non smise mai di coltivare nuovi progetti. Come fece, fino ai 107 anni, Gillo Dorfles, sgambettando per le vie di Milano. Il cuore non invecchia mai, assicura Paglia. Fosse vivo Enzo Biagi gli direbbe: «Mi raccomandi al suo principale».

 

 


[ Ferruccio de Bortoli ]