Sant'Egidio per i profughi di Lesbo

Ai primi di ottobre una "delegazione" della Comunità di Sant'Egidio si recherà nuovamente al campo profughi Moria 2.0 di Lesbo per coordinare la partenza, e l'arrivo in Italia, attraverso un corridoio umanitario, di altre quaranta persone - compresi minori non accompagnati - per le quali sono state già individuate alcune sistemazioni in Puglia, Toscana, Veneto e Roma.
Un supporto, questo, dato al campo più grande d'Europa, che la comunità porta avanti durante tutto l'anno con periodi maggiormente intensi nei mesi estivi come quelli da poco trascorsi dove è stato registrato un crescente numero di volontari: «Dal 2019, quando erano circa cento, ad oggi è quasi triplicato sfiorando le 250 presenze», spiega Daniela Pompei, responsabile per l'Italia e l'Europa di tutto quanto concerne migrazione e integrazione della Comunità di Sant'Egidio. «L'età è fra i 18 e i 25 anni, organizzati in turni di 10/12 giorni: pur spiegando loro che avrebbero dovuto provvedere alle spese del viaggio e dell'alloggio, non si sono tirati indietro».
Un'esperienza di vita che ha insegnato molto ai giovani che si sono manifestati entusiasti al termine della permanenza. La cosa singolare è che le molte richieste, oltre che da tutta Italia, siano arrivate alla comunità da ragazzi provenienti da Polonia, Ungheria e Slovenia: Paesi che generalmente non vengono dipinti come propriamente aperti verso l'accoglienza.
Attualmente a Lesbo vi sono circa 4.500 persone, la metà afghani, altri giunti da Somalia, Siria, Congo, Sierra Leone e località subsahariane, quasi la metà minorenni. Ulteriori ottocento persone con diverse forme di disagio sono dislocate in terra ferma a Mitilene, i minori non accompagnati in alberghi e famiglie. Una permanenza resa ancor più difficile vista l'ubicazione del campo che sorge sotto gli ulivi e a pochi passi dal mare e considerate le condizioni climatiche, sferzato dal vento freddo in inverno e molto caldo in estate, malgrado si stiano sostituendo le tende con i container.
«Fondamentale per noi è la scelta dei mediatori culturali, alcuni li conosciamo da tempo, vivono in Italia e parlano bene la nostra lingua - prosegue Daniela Pompei - ma altrettanto importanti sono i corsi di inglese che organizziamo a Lesbo nella Scuola della pace, cosi come le tante attività di supporto, dalla distribuzione dei pasti all'intrattenimento dei bambini, all'accompagnamento dei ragazzi in gite istruttive e di svago».
L'attuale campo che sorge sul terreno di un ex poligono di tiro è stato allestito dopo l'incendio che nell'ottobre scorso aveva devastato il precedente, il quale ospitava circa 22.000 persone. Oggi sono diminuite grazie ai corridoi umanitari e al mancato incremento dei profughi impossibilitati dal transito dalla Turchia, anche se in agosto si è registrato a Lesbo l'arrivo di alcuni migranti: «C'è necessità di un'Europa solidale - conclude - perché vi sono confini come a Lesbo o in Bosnia ed Erzegovina dove la sofferenza umana è immensa e ci vorrebbero azioni congiunte». 


[ Susanna Paparatta ]