Corridoi umanitari, via collaudata

Demografia e immigrazione
Una riflessione del presidente della Comunità di Sant`Egidio

Le autorità italiane ed europee sì chiedono come affrontare il fenomeno degli sbarchi ma, pur sapendo che si tratta di un tema molto complesso, con aspetti epocali, hanno spesso il fiato corto, sollecitate a prendere provvedimenti sull'onda di proteste emozionali e strumentalizzazioni politiche.
Di fronte a questo scenario occorre garantire prima di tutto il salvataggio delle vite umane in pericolo ricordandoci che si tratta di persone con storie di sofferenza alle spalle, fatte di violenza e sfruttamento subiti nel corso di lunghi e drammatici viaggi, fin dalla partenza dal paese di origine. In secondo luogo è necessario aprire con urgenza alcune vie di ingresso legale in un continente come l'Europa e in paesi, come l'Italia, che stanno peraltro vivendo un drammatico inverno demografico.
I corridoi umanitari rappresentano una di queste vie, ormai collaudata e sperimentata nel corso di oltre cinque anni, dal febbraio del 2016: un programma che non si è arrestato neanche durante la pandemia (solo rallentato) e che ha permesso di far giungere fino ad oggi in sicurezza 3.537 persone in Europa, di cui 2.861 in Italia, il resto in Francia, Belgio e Andorra. Si tratta di un'iniziativa umanitaria di accoglienza promossa da alcuni soggetti privati: la Comunità di Sant'Egidio, la Federazione Evangelica italiana, la Tavola Valdese. È innanzitutto una risposta alle tante tragedie che si consumano davanti alle nostre coste. Ma è la possibilità che organizzazioni cristiane della società civile offrono ai rifugiati di non barattare il rischio della vita con l'esigibilità del diritto alla protezione, rendendo illusorio questo stesso diritto. Con la garanzia di canali di accesso sicuri e regolari dei migranti. E' anche la proposta fatta agli Stati dell'Unione europea di un modello per affrancarsi dalla contraddizione di disporre di un quadro giuridico avanzato, forse il più garantista al mondo, ma al tempo stesso di quasi impossibile applicazione. Dalla consapevolezza che i profughi dovrebbero essere in grado di presentare le proprie richieste di protezione già alle istituzioni presenti nei Paesi terzi nasce il progetto dei corridoi umanitari.
La sua base giuridica è l'articolo 25 del Regolamento dei visti dell'Unione europea, che prevede per ciascuno Stato membro la possibilità di emettere visti con validità territoriale limitata per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. È stato questo il dispositivo che ha permesso di avviare questa esperienza innovativa, con la firma del protocollo d'intesa con i ministeri degli Esteri e dell'Interno del Governo italiano, e di consentire l'arrivo nel nostro Paese, nell'arco dei primi due anni, di mille profughi dal Libano, prevalentemente di nazionalità siriana. Con l'ultimo contingente, alla fine di maggio 2021, sono 2.900 le persone giunte in Italia, di cui 2.024 dal Libano, un paese che accoglie circa 1,2 milioni di rifugiati su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti: come se in Italia ce ne fossero oltre 13 milioni.
L'accordo prevede l'ingresso legale sul territorio italiano (e la possibilità di presentare successivamente la domanda di asilo) di persone in condizioni di "vulnerabilità", cioè famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità, ma anche vittime di persecuzioni, torture e violenze. Queste vengono selezionate attraverso missioni operative delle associazioni proponenti in loco, grazie anche alla collaborazione di attori locali (organismi internazionali, Chiese, Ong locali, ecc.) e i loro nominativi vengono poi trasmessi alle autorità consolari italiane dei paesi di transito per permettere alle forze di polizia di effettuare tutti i controlli.
All'arrivo nel paese di destinazione avviene la foto segnalazione e la presa delle impronte digitali, con l'ultima verifica in tempo reale da parte del sistema europeo degli accertamenti. La sicurezza, sia di chi parte sia di chi accoglie, mostra l'impatto win-win del modello ed è una caratteristica vincente.
Una volta giunti in Italia i profughi sono accolti dai promotori del progetto e, in collaborazione con altri partner, vengono ospitati in diverse case e strutture di accoglienza. C'è una grande mobilitazione delle comunità che si occupano di cercare le sistemazioni presso case religiose, privati che mettono a disposizione abitazioni, ecc. Qui viene loro offerta un'integrazione nel tessuto sociale e culturale italiano, attraverso l'apprendimento della lingua italiana, la scolarizzazione dei minori ed altre iniziative e, ovviamente, l'assistenza legale per la presentazione della domanda di protezione internazionale. Il modello è quello dell'accoglienza diffusa, personalizzata, secondo un percorso "adozionale", che coinvolge le comunità locali e la loro attiva partecipazione.
Andrea Riccardi ne ha parlato come della "risposta della società civile italiana che non vuole ripiegarsi su se stessa, non vuole girarsi dall'altra parte, ma vuole intervenire, aiutare". In effetti, sinora, nell'ambito del programma l'offerta di accoglienza supera la domanda.
È un segnale chiaro e in controtendenza rispetto agli umori negativi e agli istinti difensivi dell'opinione pubblica. È la società italiana che accoglie i rifugiati: chiese, associazioni, famiglie italiane che mettono a disposizione appartamenti. Si tratta di un lavoro molto serio di accompagnamento: non è facile passare da un campo profughi del Libano a Torino, solo per fare un esempio. Ma ciò dimostra che la nostra società è tutt'altro che inerte o chiusa allo straniero in pericolo.
La centralità della società civile nel progetto è data anche dal fatto che il finanziamento dell'operazione è totalmente a carico delle organizzazioni proponenti, senza alcun onere finanziario per lo Stato. A gennaio del 2018 è partito un secondo corridoio umanitario che ha il suo paese hotspot in Etiopia e che interessa 500 rifugiati sud sudanesi, eritrei e somali nell'arco di un anno. In questo caso, per la titolarità delle operazioni, alla Comunità di Sant'Egidio si affianca la Conferenza Episcopale Italiana tramite Caritas italiana.
L'apertura di questo secondo canale costituisce un momento importante per il progetto. Indirizzandosi verso la direttrice nord-sud coinvolge l'Africa, che vive oggi una fase contraddittoria della sua storia, tra segnali positivi di sviluppo e grandi diseguaglianze. Nel 2016 il continente sub-sahariano ha registrato una crescita media del Pil del 5,1%, uno dei più consistenti del pianeta, ma la sua quota percentuale sul Pil mondiale rappresenta ancora appena il 3,2% del totale. Inoltre, nonostante i progressi raggiunti e l'evidente tendenza crescente dei flussi complessivi d'interscambio, il ruolo di quest'area nell'ambito degli scambi commerciali mondiali è rimasto piuttosto marginale nel corso degli ultimi decenni: la quota si è, infatti, addirittura dimezzata, essendo passata dal 3,6% nel 1970 al 2% nel 2007.
I giovani africani hanno perso nel corso degli ultimi decenni l'orgoglio di vivere nel loro paese divenuto indipendente e tornano a sentirsi periferici. Da qui la fuga verso l'Europa.
Nel contesto geopolitico del continente l'Etiopia gioca un ruolo particolare. È circondata da paesi autoritari, in guerra, ad alto livello di conflittualità, o failed States. È un paese molto grande (diversamente dal Libano), religiosamente e culturalmente pluralista, il secondo più popoloso in Africa con oltre 96 milioni di abitanti, il quinto nel mondo per presenza di rifugiati, circa 750 mila, dislocati non solo nelle città ma anche in campi al confine con Eritrea, Somalia e Sud Sudan. L'avvio dei corridoi umanitari in questa zona può costituire tra l'altro un fattore di stabilizzazione e di più stretta cooperazione euroafricana.
Fin da subito il modello proposto da Sant'Egidio si è rivelato replicabile: nel corso del 2016 il Papa ha portato con sé da Lesbos dodici profughi (poi cresciuti a venti), affidati alla Comunità con l'aiuto finanziario del Vaticano. La Repubblica di San Marino ha accolto un gruppo di rifugiati siriani. Il Belgio si è mobilitato per aprire un corridoio umanitario da Siria e Turchia per 150 profughi siriani e iracheni. Successivamente, nel marzo 2017, la Francia ha sottoscritto un accordo per i corridoi umanitari per l'accoglienza di 500 persone dal Libano: questo protocollo ha perfettamente funzionato e tutti i profughi sono ormai giunti in Francia. Hollande lo ha definito un progetto che "lotta contro l'indifferenza e l'intolleranza e va incontro ai valori di accoglienza e di solidarietà della Francia ». È ben più di un mero apprezzamento ad un'iniziativa umanitaria. Oggi un nuovo protocollo per 350 profughi, sotto la responsabilità di Sant'Egidio e delle Settimane sociali di Francia, è stato firmato a Parigi.
L'adozione del modello sembra corrispondere alla soluzione politica del tema più spinoso e controverso attualmente in agenda per l'Unione europea e le sue istituzioni. È un nuovo, importante passo in avanti verso un'Europa che riconosce i propri fondamenti giuridici, che non si chiude, che affronta l'arrivo dei prolifughi che fuggono dalla guerra con umanità guardando alla sicurezza di tutti, di chi fugge dai conflitti e di chi li accoglie, favorendo l'integrazione.
Insomma, i corridoi umanitari, se "da un punto di vista quantitativo - ha scritto Giuseppe Sangiorgi - rappresentano per ora numeri modesti, sono qualitativamente un'iniziativa di grande rilievo per ciò che significano in termini di speranza, di rispetto della vita umana, di procedure innovative, e per tutto ciò che stanno animando intorno a loro, non più solo in Italia ma in Europa". Non siamo più allo stadio del progetto-pilota o sperimentale. Siamo ormai nella casistica delle best practices e delle soluzioni replicabili.
Sul convivere e l'integrazione si gioca gran parte del futuro dell'Europa. Il nostro continente è attraversato da venti di paura e di sfiducia. I corridoi umanitari sono una grande risposta al sogno di un'Europa per cui i diritti umani e la democrazia non sono soltanto la "sua ultima utopia". 

 


[ Marco Impagliazzo ]