Mozambico, il senso di una presenza

Mozambico, il senso di una presenza

Le nostre missioni militari, il vertice anti Daesh

La definitiva partenza dei militari italiani dall'Afghanistan, con ben 53 connazionali caduti, è amara. C'è la  tristezza del Paese (dopo vent'anni di presenza occidentale) consegnato nelle mani dei talebani, negatori dei progressi civili, specie delle donne. Ben ha fatto Paolo Mieli su queste pagine, a porre la questione degli afgani che hanno collaborato per un futuro migliore. Specie una cinquantina, interpreti e collaboratori degli italiani (400 persone con le famiglie), verso cui abbiamo una grave responsabilità.
La Società Dante Alighieri, come segno di solidarietà, ha deciso di assumere uno di questi interpreti. L'amarezza del ritiro fa riflettere sulle missioni militari italiane, di cui nel complesso siamo fieri. Talune sono motivate, «perché i nostri Alleati lo chiedono». È sensato per l'Italia, partner di alleanze, ma non può essere l'unico motivo. Non esenta dalla responsabilità di una visione e di priorità nell'impegno all'estero.
È un problema su cui riflettere in occasione del vertice della coalizione anti-Daesh, proprio oggi a Roma, presieduto dal ministro Di Maio e dal segretario di Stato americano, Blinken. Quaranta ministri degli esteri discuteranno sul contrasto alle dimensioni globali del terrorismo, con particolare attenzione all'Africa. La riunione a Roma riconosce l'impegno dell'Italia. Ricordo solo la missione in Libano (dal 2006 su iniziativa di Prodi). La difficile situazione del Libano -1.500.000 profughi siriani su sei milioni di abitanti - impegna anche a un'azione politica: il Paese resta un presidio di libertà accanto alla Siria in guerra, dove regna il violento regime di Al Assad.
Da tempo, sono anche convinto che la frontiera della sicurezza d'Italia e d'Europa passi nei Paesi del Sahel, troppo trascurati come il fragile Burkina Faso (lì fino a ieri non c'era neanche un'ambasciata d'Italia). Il Sahel, dalle frontiere porose, è un crocevia di terrorismo, instabilità, traffici criminali di persone, su cui pesa l'instabilità della Libia. Anche in questa regione necessita una visione strategica, più che far da spalla alla Francia, come l'Italia è tentata fin dal 2012.
Oggi il cambio di scenario viene dalla Francia che si ritira dal Mali, dove aveva uno storico impegno militare. Per il presidente Macron è «un lavoro senza fine», privato della collaborazione del governo del Mali. Lì restano 300 soldati italiani, assieme a francesi e altri come forze speciali, destinate a formazione e operazioni di combattimento in un territorio, poco noto all'Italia, con cui non abbiamo mai avuto una storia comune.
Un discorso coerente del nostro Paese nella lotta al terrorismo non può evitare il Mozambico, dove l'Italia ha realizzato, dal 1975, anno dell'indipendenza, una presenza costante e coerente. La pace tra governo e guerriglia, dopo un conflitto all'origine di un milione di morti, porta il segno dell'Italia: è stata negoziata e conclusa a Roma nel 1992 (e l'ho vissuta da vicino).
Dal 1992 al 1994, più di mille militari italiani hanno accompagnato la rinascita del Paese, in cui regnava la pace fino a ieri. Dal 2018, invece, nel Nord del Mozambico, regione ricchissima di risorse naturali, combatte Ansar al-Sunna (dai sospetti contatti con Daesh e non chiariti sostegni stranieri). Ultimamente, ha condotto azioni di rilievo e controlla parte del territorio. La riposta mozambicana, nonostante l'aiuto di mercenari russi e sudafricani, è inefficace.
Quasi 800.000 profughi dal Nord si spargono per il Mozambico in condizioni drammatiche. Raccontano storie inaudite di violenza dei terroristi. Si sente la fragilità del resto del Paese. Il terrorismo islamico ha radici sociali e geopolitiche. È chiaro l'interesse di bloccare lo sfruttamento dell'area da parte delle multinazionali. Tra l'altro, tale sfruttamento, in pochi anni, ha sconvolto il quadro sociale di un popolo marginale. Sono rimasto impressionato da un rapito, poi rilasciato, che ha riferito di aver visto tra i terroristi qualche giovane, già frequentatore dell'ambiente cristiano. Il jihadismo non sta divenendo un'ideologia di rivolta in aree marginalizzate (in presenza di grandi ricchezze), usato nel quadro di un più vasto conflitto geopolitico? L'Italia deve porsi il problema di una presenza politica e anche militare in Mozambico in termini rinnovati.

Il quadro europeo è importante, ma c'è anche una responsabilità bilaterale. In Mozambico l'Italia è il nome della pace. Il Portogallo, con una storia coloniale ancora calda, potrà fare da capofila a un intervento europeo? Ma c'è un problema complessivo (militare, politico, sociale), in cui l'Italia ha qualcosa da fare e da dire. Non esistere in Mozambico, quando poi si è presenti in altre aree del mondo, sarebbe un'irresponsabile incoerenza, se crediamo che la storia abbia un peso e un senso.

Articolo apparso su Corriere della Sera, 28/6/2021


[ Andrea Riccardi ]