Politica e fede: dove i cristiani sono nel mirino

Il rapporto. Le persecuzioni nel mondo
Salgono a 320 milioni i credenti in pericolo tra discriminazioni e abusi di cui non si parla

Non solo Asia Bibi. Quando la contadina cristiana, ormai famosa nel mondo, venne assolta dopo nove anni di galera e una grottesca sentenza di morte per blasfemia, il Pakistan fu messo a ferro e fuoco per venti giorni da migliaia di fondamentalisti islamici furibondi. «Ma l'Occidente ha preferito non vedere, per non ammettere che un certo tema politico-religioso deviato riguardava una consistente parte della popolazione pachistana», sostiene Alessandro Monteduro, direttore della fondazione cattolica Acs Italia.
Secondo i rapporti del Foreign Office britannico, un terzo della popolaziofie mondiale «soffre in qualche misura di persecuzioni religiose» e i cristiani sono «il gruppo di perseguitati più numeroso». A Roma o Milano è un'immagine difficile da focalizzare: ma a tutt'oggi un cristiano su sette vive in terre di persecuzione, rischiando di perdere i propri beni o la vita, sotto l'attacco di radicalismi o la pressione di regimi liberticidi. Erano trecento milioni in pericolo nel 2018, sono saliti ancora nel 2019, a 320 milioni, stando ai dossier più recenti dell'Acs o della onlus Open Doors, seguendo una tendenza in costante peggioramento.
Sono almeno cinquanta i Paesi da bollino rosso, in Medio Oriente, Africa e parte dell'Asia, con punte drammatiche in Nigeria, dove la comunità cristiana deve pagare per ottenere la protezione della polizia durante le messe domenicali e si è levato il grido di dolore dell'arcivescovo Agustine Akubeze che da Benin City ha denunciato l'assassinio di quattromila cristiani, «ci uccidono nell'indifferenza»: se s'allenta la presa di Boko Haram si fa più feroce quella dei pastori islamisti fulani.
Dal Pakistan l'arcivescovo di Karachi, Joseph Coutts, ricordando la strage di Ognissanti a Peshawar del 2013 (150 morti e 300 feriti) e la dozzina di attentati successivi, ha spiegato come la sua comunità viva «in uno stato di perenne tensione, perché nella nostra mente sappiamo che da qualche parte in qualche momento vi sarà un altro attacco».
Il rapporto annuale World Watch List 2021, presentato qualche settimana fa alla Camera, parla di 4.761 cristiani uccisi (mediamente 13 al giorno) nell'ultimo anno, con un incremento del 60%, di 4.277 arrestati senza processo e incarcerati, 1.710 rapiti. Dodici le nazioni nelle quali la persecuzione è classificata come estrema. Ai primi cinque posti, la Corea del Nord (sin dal 2002) e poi Afghanistan, Somalia, Libia e Pakistan.
Il tema è tuttavia molto scivoloso, perché sotto tiro nel mondo è sempre più spesso la libertà religiosa in sé, diritto inviolabile di ciascuno, e parlare di cristianofobia non vuol dire certo oscurare i massacri degli uiguri in Cina o dei rohingya in Myanmar, ignorare gli scontri tra comunità induiste e islamiche in India, o i 120 mila ebrei francesi che in dieci anni sono emigrati in Israele spaventati dall'antisemitismo che ha portato Bernard Henry Lévy a tratteggiare i contorni di un «islamo-gauchismo» che sta conquistando le università.
C'è però difficoltà, se non ritrosia, ad affrontare nel discorso pubblico l'argomento dei cristiani perseguitati: quasi un retropensiero. Andrea Riccardi sostiene che «se ne parla poco perché nella nostra cultura il cristiano è stato il persecutore: il cinquecentesimo dell'America Latina è stato celebrato dicendo che i cristiani hanno distrutto un mondo. La grande opera di Giovanni Paolo II nel Duemila è dire che i cristiani sono tornati popolo di martiri», ricorda lo storico, fondatore di Sant'Egidio, che ha dedicato alla questione il suo «Il secolo del martirio»: «Se nel Novanta avessimo parlato di martiri cristiani, tutti avrebbero pensato alle catacombe. Wojtyla ha cambiato questa percezione». Però non è l'unica difficoltà. «Vero», ammette Riccardi: «C'è l'abuso che una certa destra fa del tema. Giovanni Paolo II lo aveva chiaro. C'è un utilizzo politico dei martiri cristiani da parte della destra. Due anni fa Orbàn ha tenuto un convegno a Budapest con i cristiani orientali, ricordando come i cristiani siano perseguitati in Medio Oriente: ha elargito loro due milioni di euro, ma il succo è stato che i musulmani sono cattivi e lui ha ragione a non volere i migranti».
Il cristianesimo senza la misericordia di Gesù è insomma l'altra faccia di questo inferno.
«Ci vuole equilibrio», ammette anche Monteduro, che racconta come, per il viaggio di papa Francesco in Iraq di questi giorni, la fondazione Acs (Aiuto alla Chiesa che soffre) abbia raccolto un milione e mezzo di euro in borse di studio per l'università cattolica di Erbil, di cui il 72% agli studenti cattolici, il 10% a quelli musulmani: «Lei non può immaginare cosa mi hanno scritto sui social certi sedicenti cattolici per quel 10% ai ragazzi islamici...».
La malapianta è radicata. Si nutre di sangue, orrore e idee malate. Ci sono due modi per estirparla. Nell'Occidente più libero e fortunato, con l'onestà intellettuale di chiamare fatti e cose con il loro nome. Nelle terre delle persecuzioni, con il coraggio dell'esempio. Sant'Egidio ha, tra i suoi, due giovani martiri di questo secolo, morti perché, da cattolici, volevano cambiare il (loro) mondo. Floribert Bwana Chui faceva il doganiere a Goma (proprio in quel pezzo di Congo dove sono stati ammazzati Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci): gli avevano offerto tremila dollari per lasciare entrare in città cibo avariato; lui ha rifiutato di avvelenare la sua gente, «da cristiano non posso accettare», resistendo alle torture fino alla morte.
Stesso destino di William Quijano, che per Sant'Egidio strappava i bambini dalle favelas di San Salvador e perciò è stato assassinato da una «mara», una gang che non gradiva il lavoro di evangelizzazione, preferendo trasformare i bambini in killer.
Un gesto può cambiare il mondo, diceva Nelson Mandela. La chiesa dell'Immacolata Concezione a Qaraqosh era stata usata come poligono di tiro dai miliziani dell'Isis, i segni dei proiettili sono ancora lì: domenica, Francesco vi reciterà l`Angelus.

 


[ Goffredo Buccini ]