I motivi per sperare dopo l’anno più duro

Tra timori e prospettive

Certo quello che sta per finire sarà un anno che difficilmente dimenticheremo. La diffusione del Coronavirus che all’inizio sembrava riguardare solo l’estremo Oriente, giorno dopo giorno ha cominciato a irrompere nelle nostre case e nelle nostre esistenze.  L’andamento della pandemia, monitorato da indici fino ad allora sconosciuti, era diventata la notizia a cui stare aggrappati, il metro con cui misurare il nostro vivere quotidiano.  E se durante il primo lockdown pensavamo che bastasse resistere un po' per tornare alla vita di prima, con la ripresa dei contagi ci siamo resi conto di come il nostro futuro sia diventato difficile e terribilmente incerto. Il numero di morti è cresciuto Certo, quello che sta pervertiginosamente. In Campania è sei volte superiore a quello raggiunto nella prima fase, passando dai 432 del 15 luglio ai 2624 di ieri. Le bacheche di Facebook ogni giorno danno notizie di annunci funebri, di persone note e meno famose che ci hanno lasciato.
La situazione economica sta diventando disastrosa, soprattutto al Sud e nell’hinterland partenopeo. Numerose attività commerciali sono vicine al fallimento mentre altre, da marzo scorso non hanno più riaperto, in attesa di tempi migliori. A Napoli la situazione è aggravata dalla grande massa di persone che vive nel sommerso: lavoro nero e grigio che non permette l’accesso ai sussidi previsti dal Governo e non da quella protezione che gli interventi pubblici promettono di garantire. La crescita delle file fuori le mense e i centri Caritas, sono la cartina al tornasole di come sia cresciuta la povertà in città.
Poi quest’anno ci si è messo pure San Gennaro che, non facendo sciogliere il sangue, segno di presagio funesto, ha lasciato nello sconcerto i napoletani. 
Insomma, stiamo entrando nel nuovo anno senza bussola, disorientati in un mondo che sembra dominato dalle varianti del virus, con l’orecchio teso agli oracoli dei virologi, nuovi profeti del nostro destino. Eppure, se ci pensiamo bene, ci sono diversi motivi per non essere depressi e per guardare con fiducia all’anno che verrà. Innanzitutto è ormai prossima la data in cui si comincerà a somministrare il vaccino. Nella notte di Natale partiranno le prime dosi, medicamenti preziosi che saranno custoditi e scortati contro i possibili tentativi di furto, così come i magi venuti dall’oriente portarono quei doni al bambino, sottraendolo dal male e dalla vendetta di Erode.  Si apre così una nuova fase che, speriamo in un tempo relativamente breve, ci possa preservare dal virus e fugare dubbi e perplessità avanzati dagli scettici. Anche nella città di Napoli si possono scorgere all’orizzonte nuove prospettive. In primavera verrà eletto un nuovo sindaco, e con lui speriamo si possa aprire una stagione di rinnovamento. Sappiamo di quanto ci sia bisogno di una visione e di un progetto di sviluppo che dia un nuovo impulso alla città, che renda più vivibili e dia una identità alle periferie, che sappia costruire un nuovo welfare e non lasci indietro nessuno, che sappia ricucire quel tessuto di relazioni istituzionali che in questi anni si è sfilacciato. Ma anche che consenta una viabilità decente e costruisca un sistema di trasporti degno di una metropoli occidentale, e che riesca a rilanciare programmi di rigenerazione urbana a partire da quella grande ferita che è stato il fallimento di Bagnoli. Infine ci sarà bisogno di riconnettere i siti turistici della città con quelli presenti nelle aree limitrofe, costruendo una offerta attraente per rilanciare un turismo di qualità collegato con la storia culturale del nostro territorio e con le bellezze naturali di cui gode la Regione. Sono progetti impegnativi che richiedono una grande responsabilità da parte di chi sarà chiamato a governare la città e un nuovo modo di fare politica, lontano dallo spettacolo indecente a cui abbiamo assistito in questi mesi.
Ma con il prossimo insediamento di monsignor Domenico Battaglia, Napoli avrà anche un nuovo arcivescovo.  La sua figura sarà molto importante perché rappresenterà la chiesa del Mezzogiorno per i prossimi anni. Viene preceduto dalla fama di essere un prete vicino ai poveri, attento ai mali sociali, costruttore di realtà caritatevoli e di iniziative per creare lavoro.  Chi gli è stato vicino in questi anni, lo ha definito il vescovo della tenerezza. E’ espressione della chiesa di papa Francesco che chiede di uscire dalla sagrestie per diventare un ospedale da campo. Una chiesa che si prende cura dei poveri e dei bisognosi e gli sa stare accanto. Il suo impegno pastorale sarà una novità tutta da scoprire per Napoli.
In questo Natale diverso dal solito possiamo allora guardare all’avvenire cercando un nuovo senso individuale e collettivo, proiettati verso un domani che non può vederci spettatori spaventati e sfiduciati, ma che ci chiama ad essere protagonisti del nostro futuro e della rinascita della nostra città.

 


[ Antonio Mattone ]