Lettere dal miglio verde «La libertà dietro le sbarre dei condannati a morte»

La genovese Simona Merlo, referente della campagna di Sant'Egidio contro la pena di morte

La forza di una lettera, per oltrepassare le sbarre. Per dare amicizia a chi è condannato nel braccio della morte. Le parole stabiliscono un filo - di emozioni e di sentire - che annulla le distanze. Che non giudica il passato. Che crea una relazione nel presente. «Per il detenuto le lettere sono una finestra che si apre sul mondo. E la possibilità di costruire dei rapporti: chi è nel braccio della morte ha paura per quello che sta vivendo, è preoccupato delle condizioni in cui si trova ma è anche terrorizzato dall'isolamento. Pensiamo a quanto abbiamo vissuto noi, in primavera: quante persone hanno avuto pesanti strascichi psicologici per il lockdown? Figuriamoci cosa accade in una situazione di solitudine perenne, in cella, lontano dai propri cari, nel braccio della morte».
Simona Merlo, genovese, professoressa di storia contemporanea all'Università degli Studi Roma Tre, è responsabile a Genova della campagna "Città per la vita - Città contro la pena di morte" della Comunità di Sant'Egidio. Fra i progetti, portati avanti negli anni, ci sono le lettere ai (e dai) condannati a morte. Lettere dall'ultimo miglio, o miglio verde, come viene chiamato nelle carceri americane il corridoio che conduce alla sedia elettrica, il cui pavimento, appunto, è di colore verde.
Ieri sera, nella giornata mondiale delle "Città per la vita", le parole di chi è nel braccio della morte, le righe di queste missive sono state raccontate dai ragazzi del corso di recitazione del Teatro della Tosse di Genova, nel flash mob dei Giovani per la Pace in piazza De Ferrari. La preghiera per i condannati a morte, prima, nella Basilica dell'Annunziata. La manifestazione in piazza De Ferrari, poi, dalle 20.45, anche se in versione ridotta per le misure di sicurezza anti Covid 19 (e trasmessa in diretta Facebook dai Giovani per la Pace).
Simona Merlo ha iniziato nei primi armi Duemila a scrivere a un carcerato in Russia. Nikolaj, il suo nome. I volontari che scrivono non chiedono mai al detenuto il perché del suo essere in carcere. «La vera condanna dei detenuti in Russia sono le malattie. La tubercolosi, in particolare. E non oso immaginare come sia ora, con il Covid 19. Nikolaj ha riottenuto la libertà. La cor
rispondenza con ì carcerati russi è stata molto importante perché ha permesso di far emergere delle vere e proprìe situazioni sommerse» racconta Merlo.
In America, 8 dicembre, Lisa Montgomery rischia di essere la prima donna a essere giustiziata a livello federale dopo 67 anni. Non accadeva dal 1953. Una condanna a morte è stata anticipata al 20 novembre, quella di Orlando Hall. Una terza è in programma entro dicembre. «Tre esecuzioni federali stabilite da Donald Trump con un atto senza precedenti visto che sono state decise in quello che si prospettava come un periodo di "interregno". Stiamo portando avanti azioni, un appello urgente: la condanna a morte di Lisa Montgomery rompe una tregua che, per le donne, andava avanti dal 1953».
Scrivere a un condannato a morte: per chi, da Genova e dall'Italia, prende carta e penna - negli anni dei social, dei messaggi con risposta istantanea o quasi - e racconta di sé e del mondo a un condannato c'è, soprattutto, «la bellezza di costruire rapporti con un'umanità che non si conosceva - riflette, Merlo - persone che hanno sbagliato, che hanno anche fatto del male ma che non sono bestie. Sono essere umani.
Come dice il nostro Mauro Marazziti: "Nel braccio della morte o si diventa santi o si diventa bestie" perché ci sono meccanismi che portano a disumanizzare queste persone. Noi, in questi anni, con le nostre lettere, abbiamo conosciuto reclusi che sono profondamente cambiati. E questa la cosa assurda della pena di morte: non lascia una seconda chance, uccide persone che non sono più le stesse, che sono cambiate».
In questi mesi di Covid 19, la corrispondenza è fitta anche nei confronti dei detenuti delle carceri locali che, per sicurezza anti contagio, hanno visto diminuire le visite dall'esterno. Un filo teso, con le lettere, verso il mondo esterno. Il sentire dì essere nei pensieri di qualcuno. Di non morire soli, per chi è condannato alla pena capitale.
Le lettere di questi anni sono state raccolte e tradotte dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla stessa Merlo. Fra queste, c'è quella di Delbert, dall'America. Che affida il suo cuore, in queste righe, al suo amico di penna: «Caro Sergio, ti saluto, amico mio. Sfortunatamente, questa sarà la mia ultima lettera indirizzata a te in questa vita. Devo ringraziarti per tutto il tempo che hai voluto dedicare a scrivermi e a porgere la tua amicizia a me, senza avere idea di chi fossi, sapendo solo che ero in un braccio della morte negli Stati Uniti. Mi hai dato la tua amicizia senza condizioni. Non ti sei mai preoccupato di cosa avessi fatto per finire nel braccio della morte, ma solo del fatto che fossi qui. Hai accettato la mia amicizia per ciò che sono, non per ciò che ero stato. Sapevi che in ogni persona c'è un potenziale per il cambiamento e hai raggiunto quella parte di me, e mi hai aiutato a tirarla fuori Grazie non sembra proprio riuscire ad esprimere tutto, ma tutto ciò che posso dirti sono queste parole da amico ad amico». 

 


[ Silvia Pedemonte ]