Non abbandoniamo il Nord del Mozambico, vittima di gravi attacchi terroristici

Non abbandoniamo il Nord del Mozambico, vittima di gravi attacchi terroristici

È il racconto di un dramma di cui poco si parla, ma che dovrebbe invece preoccupare – e anche molto – la comunità internazionale: dal 2017 il nord del Mozambico è vittima di violenti attacchi terroristici, con un numero elevato di morti, feriti e sfollati, opera di Ansar al-Sunna, un gruppo di estremisti islamici affiliato all’ISIS. La provincia di Cabo Delgado, al confine con la Tanzania, è l’unica regione mozambicana a maggioranza musulmana ed è anche la zona più ricca di risorse naturali del paese.


Nel 2011, infatti, sono stati scoperti ingenti giacimenti di idrocarburi ed è iniziata un’intensa attività di esplorazione a terra e offshore da parte delle compagnie petrolifere occidentali. Ma nella regione si trovano anche le più grandi miniere al mondo di zaffiri rosa e rubini.


Gli attacchi a poveri villaggi di contadini o pescatori si sono intensificati nello scorso autunno e, oltre a causare centinaia di morti, stanno provocando anche la fuga di migliaia di persone, tra cui molte donne e bambini: 200mila sfollati interni che cercano rifugio alle porte di Pemba, il capoluogo della provincia di Cabo Delgado, e nella confinante provincia di Nampula.


Fanno venire i brividi le testimonianze raccolte dalla locale Comunità di Sant’Egidio, impegnata nell’assistenza ai rifugiati e assai diffusa in tutto il paese, anche per la storia che lega l’ex colonia portoghese all’ONU di Trastevere: la pace che, il 4 ottobre 1992, pose fine alla sanguinosa guerra civile tra il governo marxista del FreLiMo e la guerriglia della ReNaMo fu negoziata proprio a Sant’Egidio dal fondatore della Comunità Andrea Riccardi e dall’attuale arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi. “I miliziani sono arrivati di notte, tra urla e spari: non si capiva più niente”, racconta Felismino, scampato a un massacro e adesso rifugiato con la famiglia a Namialo, vicino Nampula.


“Siamo riusciti a scappare e nasconderci nella foresta dove siamo rimasti nascosti per una settimana. Qualche giorno dopo l’attacco sono tornato al villaggio per vedere cos’era rimasto. Molti erano stati decapitati”. È andata peggio a Ruth, che nell’attacco a Xitaxi dello scorso 10 aprile, ha perso il marito e da allora sopravvive grazie agli aiuti di Sant’Egidio nel campo di Metuge, a Pemba, con altri 15mila deslocados.


Negli occhi l’orrore della notte in cui i jihadisti di Ansar al-Sunna “hanno radunato tutti gli uomini del villaggio, separando i musulmani dai non musulmani e chiedendo a questi ultimi di unirsi a loro”. Chi si è rifiutato è stato ucciso: 53 uomini quasi tutti giovani. “I miei figli sono riusciti a nascondersi nella latrina ma hanno visto tutto quello che succedeva. I miliziani hanno preso mio marito, lo hanno picchiato e poi lo hanno decapitato”.



Da dove viene tanta ferocia? La vicenda di Ansar al-Sunna è simile a quella di altri gruppi radicali islamici, che da anni seminano il terrore in Africa, come al-Shabaab in Somalia, Boko Haram in Nigeria e Jama’a Nusrat al-Islam wa al-Muslimin’ nel Mali. “Una setta religiosa che si è trasformata in guerriglia”. Nato nel 2014 da alcuni predicatori salafiti, Ansar al-Sunna ha colpito anzitutto le élites musulmane moderate, accusate di corruzione e acquiescenza al potere, e ha reclutato giovani mozambicani delusi per la mancata redistribuzione dei proventi dello sfruttamento delle risorse minerarie.


All’inizio del 2020 il governo mozambicano ha lanciato una controffensiva in larga scala. Ma oltre a fronteggiare la minaccia jihadista sul piano militare, occorre smantellare il retroterra sociale che sostiene Ansar al-Sunna. Il tessuto lacerato della società mozambicana va rammendato, seguendo la strada indicata, meno di un anno fa, da papa Francesco durante la sua visita in Mozambico. Incontrando nel Paviglion Maxaquene migliaia di giovani, cattolici insieme a musulmani e di altre confessioni religiose, Bergoglio li ha invitati a “vivere la sfida della pace e a celebrarla oggi insieme come famiglia”.


“Le nostre differenze sono necessarie – ha affermato il papa – Insieme, come vi trovate adesso, voi siete il palpito di questo popolo, dove ognuno svolge un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo, per scrivere una nuova pagina di storia, una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione”.


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[ Massimiliano Signifredi ]