Noi, volontari sull'isola dei disperati dove finisce l'Europa ma non la speranza

Noi, volontari sull'isola dei disperati dove finisce l'Europa ma non la speranza

Lezione di inglese dei volontari di Sant'Egidio ai migranti del campo di Moria, a Lesbo

Quanto è lontana l'Europa? Se lo chiede Mursal - giovane mamma afghana - mentre solleva la nuca di suo figlio mostrando il morso di un topo. Ha solo sette anni e ne ha vissuti sei da rifugiato. Prima in Iran, poi in Turchia e adesso nella "giungla" dí Moria. Da quasi un anno dormono sotto una tenda sgualcita, senza nulla.
Quanto è lontana l'Europa? Lo chiedono gli occhi scavati di Fatima. Lei, rimasta sola con la nipotina, da molto tempo non ha più notizie del figlio, arrestato durante una manifestazione contro il regime siriano e fatto prigioniero nelle carceri di Assad. Il suo unico desiderio: portare sua nipote fuori. Fuori dall'inferno del campo.
Quanto è lontana l'Europa? Se lo chiedono i volontari della Comunità di Sant'Egidio che, per il secondo anno, hanno deciso di trascorrere le proprie ferie sull'isola greca di Lesbo. Si sono alternati in più di 150, provenienti da tutta Europa, per fare scuola di inglese a centinaia di bambini e allestire ogni pomeriggio il "ristorante della solidarietà", dove sono stati serviti più di mille pasti al giorno.
La situazione nel campo profughi purtroppo non è facile. Nella "giungla", che si estende tra gli ulivi, su una collina battuta dal vento, non ci sono acqua, elettricità né servizi igienici. Solo polvere e fango, vento caldo e pioggia gelata, a seconda della stagione, e rifugi fatti con materiali di scarto: cartoni, pancali, teloni. Frequenti gli incendi, come quello di pochi giorni fa, per cause ancora da accertare, ma forse non accidentali.
Le persone passano le giornate senza fare niente, nessuna scuola peri bambini (che sono la maggioranza della popolazione del campo), nessuna attività per gli adulti. Il campo è tutt'oggi in lockdown: si può uscire solo per cure mediche, pratiche legali e acquisti inderogabili.
Ma il dramma dei profughi non si misura solo tra le tende di Moria. Bisogna salire su un'altra collina, il cimitero dei giubbotti di salvataggio. Da qui la Turchia appare vicinissima. E l'Europa? Quanto è lontana
l'Europa? La domanda sale da questa discarica a cielo aperto: pezzi di gommoni e relitti di barche. Alcune bruciate da giovani estremisti di destra. Scarpe, brandelli di vestiti, giocattoli consunti, oggetti personali. Vite spezzate, diventate rifiuti.
L'Europa é lontanissima. Questo è il punto. Approdare sulle coste di Lesbo significa legalmente varcare le soglie del nostro continente, ma da qui l'Europa appare una fortezza cintata dalle porte sempre chiuse. E fuori restano loro, donne, giovani, bambini, a migliaia. Lasciati soli su una collina battuta dal vento. Senza scuola. Senza diritti. Stanno alla porta e implorano di entrare. Perché fuori si muore. Ma il senso di umanità sembra essersi essiccato sotto il sole della paura. Qui la gente chiede ascolto. Questa è la loro fame. Fame di qualcuno che ascolti - senza fretta - la loro sofferenza, che prenda sul serio le loro domande. Scampati al naufragio, restano vite alla deriva che chiedono di essere salvate, accompagnate verso un approdo sicuro. Chi si assumerà questa responsabilità?
Le famiglie che vivono nel campo di Moria si portano dietro ferite di guerra talmente profonde da non poter essere dette né mostrate. Di fronte alle loro storie la porta non può rimanere chiusa. Per questo negli scorsi mesi sono stati organizzati due corridoi umanitari, per far arrivare in Europa – legalmente e in modo sicuro - le situazioni di maggior vulnerabilità: i malati, gli anziani, i bambini.
A Lesbo, i volontari di Sant'Egidio hanno cercato di mostrare il volto di un'Europa dalle porte aperte: attraverso gesti semplici e concreti di umanità, parole spesso balbettate in una lingua meticciata, un ascolto mai distratto. Il volto di un'Europa capace di farsi vicina a chi soffre, capace di non dimenticare. Un'Europa che non teme di accogliere chi ha diritto di protezione. E forse è proprio qui, in questa piccola isola a un passo dalla Turchia, che si deve venire per guardare alle nostre città e alla nostra vita. Per guardare tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo con gli occhi di questi bambini. L'Europa sta lì. Adesso bisogna soltanto lavorare, giorno dopo giorno, perché quello che loro sognano e cercano esista davvero.

 


[ Marta Olla ]