La Chiesa "salvata" dai migranti

Dal Nord Africa alla Grecia, ecco le comunità che restano vive grazie all'arrivo di migliaia di profughi In Europa la sfida dell'accoglienza. In Medio Oriente le partenze svuotano presìdi di antica tradizione

C'è una Chiesa che nel Mediterraneo è accanto ai migranti sempre. E c'è una Chiesa che dai migranti è stata come salvata. E poi c'è una Chiesa che si sta assottigliando e quasi rischia di scomparire per l'esodo di quanti, una volta varcati i confini di un altro Stato, diventano rifugiati. Nell'agenda del «G20 ecclesiale» sulla pace che ha per protagonisti i vescovi giunti a Bari da venti nazioni entrano anche i grandi spostamenti di massa con tutta la loro forza, i loro drammi e le speranze che si portano dietro. E non poteva essere altrimenti perché, come osserva l'arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci, «se il nostro incontro ha come orizzonte la riconciliazione fra i popoli, le migrazioni sono dovute anche all'assenza di pace e di giustizia sociale visto che si fugge da guerre, violenza, persecuzioni, miseria».
Epperò, quando le comunità ecclesiali si confrontano con questa urgenza e soprattutto quando la vivono nel quotidiano, cambia la prospettiva a seconda della sponda da cui si osserva il fenomeno. Ecco perché sarebbe parziale ridurre a una sola dimensione l'attenzione della Chiesa verso una questione che coinvolge migliaia di persone.
L'Europa che accoglie
Nell'Europa occidentale la Chiesa è in prima linea nell'accoglienza dei profughi. E al tempo stesso nel denunciare chiusure, strumentalizzazioni politiche, rigurgiti razzisti che possono accompagnare l'arrivo dei rifugiati. Nel 2019 sono stati 125mila i migranti che dalla sponda meridionale o da quella orientale del Mediterraneo sono approdati nel vecchio continente. Con più di 1.800 fra morti o dispersi, certifica l'Unhcr. E fra gli Stati del bacino che hanno accolto i migranti, l'Italia è quella in cui gli sbarchi sono stati più bassi: 11mila gli arrivi lo scorso anno a fronte dei 75mila profughi giunti in Grecia (60mila per mare e 15mila via terra) e dei 32mila in Spagna (di cui quasi 7mila via terra).
Nella Penisola le diocesi, soprattutto attraverso í bracci operativi delle Caritas, sono impegnate da tempo in percorsi di ospitalità e integrazione che vedono in campo anche famiglie religiose, associazioni e realtà del terzo settore. La Cei ha lanciato la campagna "Liberi di partire, liberi di restare": 77 i progetti avviati di cui 32 nelle nazioni di partenza, transito o arrivo e gli altri nelle diocesi italiane. Ad essi si aggiunge l'esperienza dei Corridoi umanitari promossi assieme alla Comunità di Sant'Egidio. Anche la Chiesa francese ha spronato in più occasioni all'accoglienza, soprattutto dopo i respingimenti e le serrate delle frontiere. E in questo senso può essere letta la recente scelta di papa Francesco di nominare Jean Marc Aveline, originario dell'Algeria ed esperto di dialogo fra le fedi, nuovo arcivescovo di Marsiglia, la più "araba" fra le città europee dove emarginazione e integrazione vanno di pari passo.
In Spagna la Chiesa «vive sulle due sponde», ossia fra Europa e Africa, sottolinea il presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Ricardo Blazquez Pérez, che si appella al «senso di umanità» e chiede che l'Unione europea si assuma le sue responsabilità. Parole simili a quelle di Charles J. Scicluna, arcivescovo di Malta, che descrive l'isola - in cui si recherà il Papa il 31 maggio - come «un porto sicuro per chiunque è fragile» dove però il dramma dei migranti va affrontato con «apertura evangelica» unita a «realismo» ed «equilibrio» politico.
Nel Nord Africa la comunità ecclesiale guarda con particolare attenzione ai migranti subsahariani che sognano l'Europa ma «sono spesso bloccati alle nostre frontiere», avverte l'arcivescovo di Algeri, Paul Desfarges. E non mancano, anche alla scuola di papa Francesco, i moniti sull'eventualità che i profughi finiscano nelle mani di trafficanti di esseri umani e che i viaggi verso l'Occidente in imbarcazioni di fortuna si trasformino in tragedie facendo del grande mare un cimitero di "anonimi" cercatori di speranza. «Come comunità cristiana non incoraggiamo i migranti ad attraversare il Mediterraneo - racconta dalla Libia il vicario apostolico di Tripoli, il vescovo George Bugeja -. Non si può spingere alcun uomo, donna o bambino a mettere in pericolo la vita. Quando scopriamo che qualcuno ha intenzione di partire, proviamo a dissuaderlo».


Le Chiese di migranti.
Sulla sponda sud del Mediterraneo sono i migranti che continuano a tenere vive le Chiese. Accade nei Paesi del Maghreb dove la comunità ecclesiale comprende, sì, stranieri occidentali che lasciano l'Europa per ragioni di lavoro. Ma soprattutto gli africani del sud del Sahara che formano il  nocciolo duro dei fedeli. Il neo cardinale Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat in Marocco, parla di una Chiesa «davvero universale che raccoglie credenti di oltre 100 Paesi» in cui «crescono anche gli asiatici».
Un "caso di scuola" è quello della Grecia dove la Chiesa locale ha visto quadruplicare negli ultimi trent'anni il numero dei cattolici: 200mila oggi. Con il crollo dei regimi nell'Est europeo ecco gli arrivi di polacchi, albanesi, romeni, ucraini. Poi è stata la volta di siriani e libanesi. Adesso i "nuovi" cattolici sono gli africani che attraversano il mare o gli Stati del Medio Oriente per raggiungere l'Europa. «Nelle isole di Samo e Lesbo le nostre chiese che avevano qualche decina di fedeli - dice l'arcivescovo di Atene, Sevastianos Rossolatos - si sono riempite grazie ai migranti». La Grecia dovrebbe essere terra di passaggio. «Ma l'Ue non vuole i rifugiati che restano ingabbiati qui. Allora con la Caritas favoriamo il loro inserimento nella società e interveniamo nei campi d'accoglienza dove si vive talvolta in condizioni disumane».
Gli addii forzati.
Poi ci sono Chiese che fanno i conti con gli esodi che ne mettono a rischio la sopravvivenza. È l'altra faccia delle migrazioni: l'effetto deleterio degli addii "obbligati" delle contingenze. In Terra Santa la fuga dei cristiani ha fatto suonare più volte il campanello d'allarme per una diaspora legata al conflitto israelo-palestinese e alle condizioni economiche. Poi si registrano imponenti espatri dalle comunità cattoliche della Siria e dell'Iraq, nazioni devastate dalla guerra e finite del mirino del fondamentalismo. «Siamo inorriditi vedendo la massiccia partenza dei nostri fedeli, soprattutto dei più giovani che non riusciamo a convincere a rimanere», rivela il patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan. E l'abbandono "cristiano" segna anche i Balcani, come spiega il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo. «Ogni uscita dalla Bosnia ed Erzegovina va considerata una sconfitta - afferma -. La maggior parte della nostra gente ha lasciato il Paese per gli orrori della guerra. Ma oggi il problema più grave è un altro: non tutti siamo uguali davanti alla legge». E le Chiese lanciano il loro grido: aiuteci a far restare la nostra gente nelle terre d'origine.

L'INCHIESTA
Il fenomeno migratorio entra nell'agenda dell'evento Cei. Il grido dei fedeli che rischiano la diaspora per guerre, povertà e persecuzioni: aiutateci a restare nelle nostre terre e a testimoniare la riconciliazione.
In base alla sponda del mare cambia la prospettiva con cui analizzare gli spostamenti di massa che interrogano l'intero Mediterraneo. Un'emergenza causata anche dall'assenza di pace e di giustizia sociale.
 


[ Giacomo Gambassi ]