L'ultimo viaggio per riportare Laurent a casa

L'ultimo viaggio per riportare Laurent a casa

Il padre ha ritrovato finalmente il suo piccolo Laurent. Quel bambino uscito per andare a scuola nel quartiere popolare di Abidjan e mai tornato a casa. Il corpo ritrovato all'aeroporto di Roissy, nel vano carrello di un volo Air France in provenienza dalla Costa d'Avorio.

«Grazie, mon ami, ti chiamavo sempre così, ti chiedo di perdonarmi per quello che ho fatto, e per quello che non ho saputo fare. Perdonami se non sono stato all'altezza delle mie responsabilità». È una preghiera sommessa, un messaggio sussurato da padre a figlio. Ieri Marius Ani ha ritrovato finalmente il suo piccolo Laurent Barthélemy. Quel bambino uscito una mattina per andare a scuola nel quartiere popolare di Abidjan e mai tornato a casa. La famiglia aveva messo un annuncio di scomparsa. I giorni sono passati e l'attesa si è conclusa con la visita dei gendarmi. Il corpo del quattordicenne è stato ritrovato all'alba dell'8 gennaio all'aeroporto di Roissy, nel vano carrello di un volo Air France in provenienza dalla Costa d'Avorio. Marius ha compiuto lunedì notte lo stesso viaggio di Laurent Barthélemy. Grazie a una mobilitazione internazionale, le autorità francesi e ivoriane hanno finalmente permesso all'insegnante di matematica di venire a riprendersi suo figlio. Ci sono voluti articoli, la denuncia di Roberto Saviano, la campagna lanciata dalla scrittrice Chiara Alessi su "Stati Generali". È passato più di un mese per spezzare l'indifferenza che circonda quelli che chiamiamo "drammi dell'immigrazione", fingendo di non vedere che dietro ogni numero c'è un nome, una storia, un mondo fatto di speranze talvolta inconfessabili com'è successo per Laurent Barthélemy. Una volta aveva chiesto al padre cos'era l'Institut Pasteur, spiegando che da grande avrebbe voluto essere scienziato. Sembrava una delle tante domande di un bambino sempre curioso, che voleva farsi raccontare la storia di Nelson Mandela, di Winston Churchill e di altri grandi uomini. E invece, chissà.

Il suo sogno
Non è vero che i genitori possono sempre proteggere i figli, leggerli come un libro aperto. «Se mi avesse parlato di quel suo sogno, se si fosse confidato» è il rovello di Marius, che s'interroga sui suoi errori. «Forse sono stato troppo severo, troppo esigente. Lui me lo diceva: Papà tu pensi solo allo studio». Non è vero che non abbiamo più un cuore come ci vogliono far credere quelli che speculano sulle nostre paure. Quando è salito sul volo Air France che lo doveva portare da suo figlio, a settemila chilometri di distanza, Marius è stato riconosciuto dall'equipaggio. Uno stewart gli ha parlato a lungo, un'hostess si è presa cura di lui durante tutto il volo. Il papà di Laurent Barthélemy non aveva mai preso un aereo, non aveva neanche un passaporto fino a qualche giorno fa. All'arrivo a Roissy, appena fuori dal portellone, c'erano ad aspettarlo la responsabile francese della Comunità di Sant'Egidio, Valérie Régnier, il console ivoriano, la scrittrice Alessi ma anche il comandante della polizia aeroportuale che aveva fatto il verbale di ritrovamento del corpo del ragazzo. L'ufficiale teneva ad esserci, voleva presentare le condoglianze a quell'uomo stretto in vestiti invernali mai indossati prima. Il personale di Roissy ha fatto in modo che i controlli dell'immigrazione durassero pochi minuti e Marius potesse subito andare all'istituto medico legale affacciato sulla Senna, dov'è conservato da più di un mese il corpo di suo figlio. Prima di farlo entrare, la direttrice dell'istituto ha preparato Marius, avvertendolo dei segni del tempo che avrebbe scoperto sulla salma. «Potrebbe non riconoscerlo» è stata la premessa. Sporgendosi dietro a un vetro, come vuole la legge fino al momento del trasferimento nella bara, il padre ha invece riconosciuto suo figlio. «È lui» ha detto, scoppiando in un pianto silenzioso. Uscendo si è seduto, ha preso la sua cartellina di fotografie e ha cominciato a rivolgersi a Laurent Barthélemy. L'ultima immagine è stata scattata a Natale. Il ragazzo appare pensoso davanti a un cielo come sfondo. Sembra un angelo. Marius crede nei segni premonitori. Un mese prima di fuggire, il ragazzo aveva chiesto di inserire il suo soprannome Prince sui documenti. E ora che la storia del ragazzo ivoriano ha commosso tanti, il padre è convinto che sia diventato un principe. «Sei piccolo ma, ovunque tu sia, sono certo che sei in compagnia dei grandi uomini». Marius ieri ha visto il Louvre e la Tour Eiffel. «Forse era questo il sogno del mio atea». Si è fermato a mangiare una crépe accanto a Notre-Dame. Lo hanno colpito il palazzi haussmaniani.

I palazzi
«Sembrano solidi, fatti per durare, non come da noi». Camminando per le strade che a lui sembravano pulitissime, mentre tanti parigini si lamentano, ha stretto la mano ad alcuni clochard. Fino a venerdì resterà nella capitale. Il Comune ha preso in carico le sue spese di viaggio e promesso di realizzare un grande affresco in memoria di Laurent Barthélemy. Marius tornerà con la salma di suo figlio ad Abidjan e lo seppellirà nel villaggio dei suoi antenati. Il ministro dei Trasporti del governo ivoriano lo ha ricevuto già due volte promettendo che sarà fatta luce sull'incidente. Il papà resta convinto che suo figlio non possa avere fatto tutto da solo. Nelle prossime settimane parteciperà alla campagna della Comunità di Sant'Egidio, molto attiva ad Abidjan, che s'intitola «Non sprecare la tua vita», per sensibilizzare i giovani sui rischi dell'immigrazione clandestina. Marius vorrebbe creare una fondazione che si occuperà di istruzione. Porterà il nome di suo figlio, Prince Laurent Barthélemy Ani Guibahi. E scusate se è così lungo da scrivere. Aveva deciso di essere un piccolo principe.

FOTO DA http://www.leparisien.fr/


[ Anais Ginori ]