E' l'hotel dei poveri il dono più bello di Francesco

Fascino, posizione, arredi: l'Hotel dei Poveri ha tutto per poter essere un albergo a 5 stelle. È così vero che ben quattro investitori di varie nazionalità erano pronti a spendere milioni di euro, dollari, rubli e yuan per renderlo una residenza di lusso. Tuttavia i soldi non fanno la felicità, non quella di Francesco almeno. E così il Papa ha deciso di destinare Palazzo Migliori a ben altra clientela: i senza fissa dimora di Roma, gli invisibili che popolano le strade della capitale.
«Il Santo Padre si è così appassionato al  progetto da aver anche indirizzato la ristrutturazione», racconta Carlo Santoro, volontario di Sant'Egidio e direttore della struttura. «Per sua volontà il palazzo è stato allestito proprio come un hotel. Infatti questo non è un dormitorio. Ci sono una dozzina di stanze vere, tredici bagni e una trentina di posti letto, che possono arrivare a cinquanta in caso di necessità». La conferma alle parole di Santoro arriva dalla visita che Gente, in esclusiva, ha potuto fare nei quasi duemila metriquadri dell'edificio. E comunque le stanze e i bagni sono soltanto una parte di questo palazzo nobiliare del Diciannovesimo secolo, costruito a undici passi dal colonnato di piazza San Pietro e donato alla Chiesa nel 1930 dalla famiglia Migliori.
I quattro piani e le tre terrazze panoramiche sul Cupolone si reggono su volte affrescate e soffitti in legno intagliato. I saloni ospitano statue, quadri e lampadari di cristallo, ci sono la cappella interna, una grande cucina e un ascensore per permettere l'accesso agli anziani e alle persone con disabilità. Inoltre, il primo e il secondo piano sono riservati al refettorio e alle sale per l'ascolto, la lettura di libri e giornali, la visione della Tv e l'utilizzo di Internet. «Quando arriveremo a pieno regime, sono spazi che funzioneranno anche come centro di accoglienza diurno», anticipa il direttore.
Inaugurato il 14 novembre, il palazzo è gestito dall'Elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, che lo ha affidato alla Comunità di Sant'Egidio, rappresentata in prima istanza proprio da Santoro. Gli orari, direttore? «Al momento apriamo alle sette di sera, prima di cena, e chiudiamo alle otto del mattino, dopo la colazione». Ma nell'hotel vigono anche altre regole, due delle quali imposte direttamente dal Papa. Anzitutto, svela Santoro, «Francesco ha chiesto a tutti noi di non sprecare nulla, né cibo né altro. Quindi, per fare un esempio, teniamo accese soltanto le luci che servono, soprattutto quelle della speranza». Inoltre, «il Santo Padre ci ha chiesto un'attenzione massima verso l'ambiente. Infatti qui è tutto plastic free: piatti e posate sono compostabili».
Alcune regole, però, valgono anche per gli ospiti. Intanto, prima di poter accedere al palazzo, i candidati devono sostenere un colloquio con la Comunità di Sant'Egidio. «Privilegiamo sempre le persone più fragili, a cominciare dalle donne,  le più indifese. L'incontro serve per comprendere quali intenzioni hanno i richiedenti», chiarisce il direttore, «perché il nostro è un alloggio temporaneo e lo devono sapere. La permanenza qui permette loro di riabituarsi a vivere in un luogo comodo. Ma il nostro obiettivo è accompagnarli poi in un posto alternativo e stabile».
Alla spicciolata, intanto, arrivano gli ospiti. Uno si chiama Andreas, è un settantenne rumeno con più di un acciacco. L'uomo prende l'ascensore e si accomoda in una delle stanze, sobrie ma arredate con gusto. Poi scende nel refettorio, dove a cena ci sono una ventina di persone, tra cui sette volontari, tutti rigorosamente impegnati a titolo gratuito. Ma è difficile distinguerli dagli avventori. «Il fatto è che noi di Sant'Egidio ci vediamo e comportiamo come loro familiari», rimarca Paola, siamo una sola cosa». Nel frattempo Bruna, un'altra volontaria, verifica le condizioni di Elena, vittima di una brutta osteoporosi. «Domani verrà una nostra dottoressa a visitarti», le anticipa.
Tuttavia certi dolori dell'anima sono difficilmente curabili. Come quello di Alessandro, che viene da Ostia, dove prima lavorava come muratore e poi ristoratore. Le cose sono andate male, alcune cause in tribunale anche, e si è rifugiato negli allucinogeni e nella vita di strada per fuggire dalla realtà. Da luglio ha smesso di drogarsi e di Palazzo Migliori dice: «Qui mi sento realizzato anche se non ho niente».
Invece Luigi arriva da Monteleone, in provincia di Rieti. «La mia situazione è tutta colpa di un maledetto colpo di fulmine. Ero giovane e fidanzato con una ragazza del mio paese. Però poi ho incontrato un'altra donna a Roma e l'ho sposata dopo meno di un anno. Abbiamo avuto tre figli e da un giorno all'altro mi ha cacciato da casa. Ho sbroccato, sono andato fuori di testa e a vivere per strada, non ce l'ho più fatta a lavorare».
Ad Alessandro e Luigi si rivolge direttamente il custode di Palazzo Migliori. Si chiama Marco Cimolino e racconta la sua, di storia. «Ero un senza fissa dimora pure io. Dopo essere stato licenziato, ero
depresso, mi sono ridotto a vivere sei anni per strada. Ma poi ho capito i miei errori. Ho cercato e trovato questo posto grazie a Sant'Egidio e ora do consigli ai senzatetto, soprattutto giovani». Quali consigli? «La vita di strada non si può fare. Si invecchia presto e male, si muore prima. Se qualcuno pensa: tanto, quando mi serve, un letto e un pasto caldo me lo danno, sbaglia tutto. E poi senza lavorare la vita ha poco senso».
Marco è assegnato all'Hotel dei Poveri non per caso. La sua è un'altra luce da accendere nel buio degli ospiti di Palazzo Migliori. Come quella dei volontari. E di Francesco, il Papa degli ultimi. 


[ Carlo Puca ]