Nella preghiera siamo davvero figli

Nella preghiera siamo davvero figli

Riccardi: «Nella preghiera siamo davvero figli»
In un mondo dominato da una comunicazione rapida e incalzante, hanno ancora senso la preghiera e la lettura della Parola di Dio? Che significa pregare di fronte all'abisso del male e del dolore? Come può l'uomo contemporaneo affrontare il "silenzio di Dio"? Avendo come punto di riferimento la Bibbia, i Padri della Chiesa e la tradizione iconografica orientale, Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, cerca di rispondere a questi e ad altri interrogativi dell'esistenza umana. Riccardi aiuta a leggere la Parola di Dio nella storia e di fronte alle domande dei poveri e dei feriti della vita.

In una casa di riposo, una donna anziana, malata in modo grave, un giorno mi ha detto con espressione sconsolata: «Io non so pregare. So solo tre preghiere... ma ho bisogno di pregare e di essere aiutata da Dio». Sono rimasto colpito dalla spontaneità dolorosa di quelle parole. Mi è tornata alla mente la richiesta dei discepoli a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare». C'è una grande domanda tra gli uomini e le donne del nostro tempo: trovare le parole e la maniera di pregare. Eppure nella vita, la gente prova fatica a pregare e si sente spesso come di fronte a un grande silenzio. Questo silenzio, il silenzio di Dio, mette in risalto il balbettio della preghiera che sembra troppo elementare e soprattutto incapace di raggiungere il Signore. Una preghiera povera s'incontra con quella che appare come un'incombente mancanza di risposte da parte del Signore. È indifferenza all'invocazione? Assenza? Qual è il significato?
Si finisce talvolta per sfuggire al mondo della preghiera, quasi per evitare una situazione imbarazzante, in cui donne e uomini adulti si scoprono un po' infantili. Quasi ci si sente posti di fronte alla propria inadeguatezza che s'intreccia con tanti interrogativi su Dio. Nel linguaggio rapido della comunicazione del nostro tempo, la mancanza di risposte immediate non solo rivela scortesia, ma manifesta un diniego. Il "mondo" della preghiera non ha un linguaggio simile a quello della comunicazione quotidiana con risposte rapide, anche se poi non è così lontano dai moduli espressivi della gente comune. Non è, per questo, un "mondo" vuoto, anche se è popolato di silenzi. Ci sono parole, presenze, riferimenti, volti, assieme ai silenzi. Tutto comincia dalla parola: la parola (anche povera) di chi prega come chiedesse a un amico o a un padre, ma pure la Parola di Dio che viene rivolta a ciascuno. La Bibbia è un Libro, o un insieme di Libri, che aiuta a pregare e offrire una grammatica della preghiera. Con le parole che si leggono nella Bibbia o che si ascoltano da essa, il Signore risponde alle domande della preghiera e della vita. Con la Bibbia, la Parola di Dio aiuta a pregare - si pensi al Salterio - e allo stesso tempo viene in aiuto alla nostra debolezza suscitando nella nostra vita un cuore sensibile.
Dopo il Concilio, pur essendo cresciuto l'amore per la Bibbia, non si è ancora affermata nel popolo quella che chiamerei la devozione per la Sacra Pagina: prendere in mano con familiarità, ascoltare con fede e leggere con gioia la Parola di Dio. C'è invece una grande eredità conciliare da cogliere. Il Concilio afferma: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto con il corpo di Cristo stesso, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo...». Il parallelismo tra l'Eucarestia e la Parola di Dio, stabilito dal Concilio, mi ha spinto più volte a chiedermi: non sarebbe necessario far crescere nel popolo di Dio la venerazione delle Divine Scritture, come è cresciuta quella del corpo di Cristo, per il quale dal Duecento si celebra la festa del Corpus Domini? Non si dovrebbe pensare a una nuova festa? Ogni celebrazione liturgica è celebrazione della Parola di Dio nel rapporto profondo tra Bibbia e liturgia; ma allo stesso tempo sono convinto della necessità di focalizzare una Domenica su questa tematica. Papa Francesco è venuto incontro a questa esigenza, radicata nel vissuto della Chiesa del postConcilio, con la Lettera apostolica Aperuit illis con cui, non solo istituisce la Domenica della Parola di Dio nella terza Domenica per annum, ma ricorda qualcosa di fondamentale: «La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni... Essa appartiene, anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola». E aggiunge: «La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all'unità».
Il dono della Parola, riscoperto come popolo con il Vaticano II, va vissuto ogni giorno e celebrato con una festa. È la Domenica dedicata al Verbum Domini o alla Dei Verbum: giorno di venerazione delle Sacre Scritture, manifestazione della gioia del popolo di Dio per il dono della Parola, occasione di diffusione della Bibbia e dei Vangeli tra i fedeli. Molte esperienze già sono andate in questo senso: in America Latina si celebra una Domenica della Parola vicino alla festa di San Girolamo, nella Chiesa indonesiana si dedica il mese di settembre alla Bibbia, nella Comunità di Sant'Egidio il giorno della festa di San Pietro e Paolo... Niente di improvvisato; è qualcosa che germina dal vissuto del popolo credente. Ma bisogna essere grati a papa Francesco che ha portato avanti la recezione del Concilio con la Domenica della Parola di Dio. Una simile festa ha radici antiche nella tradizione ebraica, che per Shavuot (Pentecoste) celebra il dono della Torah sul Sinai, mentre alla fine di Sukkot (Capanne) celebra la festa della "gioia della Torah".
Il Corpus Domini è stato la grande festa dell'identità cattolica legata alla fede nell'Eucarestia. Allo stesso modo, oggi, papa Francesco propone a tutta la Chiesa una festa di gioia attorno alla Parola, come un dono che faccia crescere la devozione alle sue pagine attraverso la lettura, l'ascolto, la venerazione e l'intronizzazione del Libro. Ma anche una festa che rinnovi l'impegno ad ascoltare il Signore che parla. Infine una festa dedicata al dono e alla consegna della Bibbia e del Vangelo sia nel quadro liturgico che in quello più largo della diffusione tra la gente, come ama fare papa Francesco. La preghiera cristiana, per secoli, si è purtroppo impoverita per l'assenza di familiarità con la Bibbia. Ma non si è spenta. Spesso, anche la Bibbia rischia di essere ridotta a un insegnamento religioso o a una esortazione morale. Nei secoli, però, con il suo intuito di fede e sospinto da un bisogno profondo, il popolo di Dio ha cercato e percorso tante strade per invocare il Signore. E la Chiesa ha sempre vissuto e continua a insegnare la parola rasserenante di Gesù: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11,9). Le parole della Bibbia sono state e sempre più saranno il nutrimento per chi chiede e chi cerca: l'anima della preghiera e la risposta che viene dal Signore all'invocazione di chi si rivolge a lui e lo ascolta.
Così il silenzio della preghiera appare, a chi vi si inoltra, come un mondo popolato di parole, segni, presenze e volti, ma soprattutto abitato dalla Parola di Dio. Questa - come insegnano i Padri - cresce con chi la legge, l'ascolta e prega con essa. Non s'impara una lingua in un solo giorno e in un momento emotivo. E nella preghiera si resta sempre bambini. Questa è la condizione vera di fronte a Dio: essere figli e bambini. Infatti Gesù, che è anche compagno e maestro nella preghiera, ci ha insegnato a dire con lui e con i fratelli: «Padre Nostro...».

 


[ Andrea Riccardi ]