Esiste un'Italia che non ha paura e che, in silenzio, sa accogliere

Esiste un'Italia che non ha paura e che, in silenzio, sa accogliere

In "Porte aperte" Mario Marazziti racconta i luoghi, le persone e le esperienze dei corridoi umanitari

L'erba calpestata dei popoli; o meglio, l'erba dei popoli calpestati. "Quando gli elefanti si scontrano, la vittima è l'erba", suggerisce un vecchio saggio proverbio africano. Zygmunt Bauman, tra i più acuti studiosi della società di oggi, applica l'immagine alle centinaia di milioni di persone che pagano e continueranno a pagare lo scotto di una guerra che passa sopra le loro teste, ma che ne fa le vere vittime. Un massacro, cui tentano di proporre, se non delle risposte, almeno delle vie di fuga una serie di iniziative private; ed è bene sottolinearlo, private, perché la parte pubblica di tutti gli Stati registra un vergognoso scarto tra gli enunciati e i fatti.

Tra queste, una delle più interessanti è sicuramente quella dei corridoi umanitari
, progetto pilota che vede protagonisti la Comunità di Sant'Egidio, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas: rivolto a quella folla sterminata di 60 milioni di profughi (mai così tanti nella storia, neppure durante la seconda guerra mondiale) sradicati dalle loro case e dalle loro terre dalla fame, dai conflitti, dai cambiamenti radicali del clima, dallo sfruttamento intensivo delle risorse a opera di un colonialismo che di fatto non è mai morto: si è solo reso più sofisticato, ma anche più aggressivo. Di questa meritoria esperienza parla un libro appena edito, significativamente intitolato "Porte aperte" come polemica risposta alla lobby internazionale dei costruttori di muri. L'ha scritto Mario Marazziti, giornalista e scrittore, della Comunità di Sant'Egidio. Il suo è "un viaggio nell'Italia che non ha paura", come segnala il sottotitolo; e che è davvero trasversale, perché va dal nord al sud, dalla prima tappa del Trevigiano all'ultima del Palermitano. Un'esperienza avviata nel 2016, e che da allora ha consentito di portare nel nostro Paese oltre 2800 persone, un terzo delle quali minorenni, provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa; oggi operativa in 18 regioni, con 139 soggetti impegnati e un esercito di 3mila volontari. Completamente autofinanziata, niente a carico dello Stato: che ai fatti concreti preferisce le polemiche sterili,
Brandite dai partiti a bassi scopi elettorali, anche a costo di barare vergognosamente sui numeri. Non è un caso che il percorso di Marazziti prenda avvio da un Veneto che in Italia vanta il primato della terra con la maggior presenza di volontariato e con un tessuto secolare di straordinaria solidarietà. E ancor più significativo è che l'autore parta dalle rive del Piave, ricordando lo tsunami umano di quella Caporetto che nell'autunno 1917 provocò un'ondata di 600mila profughi scacciati brutalmente dalle loro case; per trovare, al loro ritorno, solo terra bruciata. Non pochi dei nipoti e pronipoti di quei profughi hanno dimenticato con grande disinvoltura quel tragico capitolo che pur appartiene alla loro stessa storia, e oggi sono in prima fila nella polemica ad alzo zero contro i profughi che arrivano da lontano, cavalcando stereotipi e luoghi comuni di ogni tipo. A questi piccoli ma micidiali muri seriali si contrappongono le aperture di chi lavora per l'accoglienza e l'integrazione: un'esperienza silenziosa e sommersa ma diffusa, che non gode della grancassa delle narrazioni mediatiche correnti, tutte tese a dare risonanza al negativo. Anche per questo il viaggio di Marazziti rappresenta un salutare antidoto: con dovizia di nomi e cognomi, supporto di cifre incontrovertibili, e varietà di testimonianze, il suo racconto diventa la prova provata che l'integrazione è possibile; non solo, si dimostra capace di generare ospitalità e accoglienza, e di ripagarle conferendo nuova vitalità a realtà locali che altrimenti rischierebbero il declino. Oggi i corridoi, presenti anche in altre realtà europee, da soli riescono a fare più di quanto ottengano 22 Paesi europei messi assieme, ponendo ancora più a nudo i deleteri ritardi dell'Occidente nell'affrontare una vera politica dell'accoglienza e dell'inserimento. Il meccanismo è semplice quanto efficace: una volta giunti in Italia attraverso i visti umanitari, i profughi vengono accolti a spese delle associazioni coinvolte nel progetto in case private o strutture specifiche, si insegna loro l'italiano, i loro figli vengono iscritti nelle scuole, e li si aiuta nella ricerca di un lavoro. "Un'associazione? No, noi siamo un insieme", spiega a Marazziti uno degli operatori intervistati. E in quella sintesi c'è una lezione per tutti.


[ Francesco Jori ]