Sassoli compagno di banco di Zuppi: «Quel ragazzo magro magro che emanava felicità»

La testimonianza
Il presidente del Parlamento Ue ricorda il il periodo trascorso assieme a lui tra i banchidel liceo classico Virgilio di Roma: «Aiutava i poveri»

 È iniziato tutto lì. L’illuminazione, l’impegno, la lotta pacifica, la mano tesa agli emarginati. Si è accesa lì, tra le mura del liceo classico Virgilio di Roma — uno dei più famosi del Paese, il liceo della borghesia della Capitale — la «fiamma» che ha portato il giovane Matteo Zuppi a diventare prima parroco, poi vescovo, domani cardinale.
La miccia: l’incontro con un ragazzo più grande di lui di cinque anni, Andrea Riccardi, quell’Andrea Riccardi che nel 1968 fondò, proprio dentro il Virgilio, la Comunità di Sant’Egidio. Zuppi era in quarta ginnasio, Riccardi era all’ultimo anno. Ma quell’incontro fu, per il Matteo quattordicenne, folgorante, come ha raccontato lui stesso in alcune interviste. «Parlava del Vangelo a tanti ragazzi — ricorderà lo Zuppi adulto — in maniera così diretta e al tempo stesso con tanta conoscenza».
Dopo 40 anni
Più di quarant’anni dopo anche i compagni di scuola di Zuppi, quando lo ripensano giovanissimo e scavano con la memoria per ricomporre i pezzi del passato, riconoscono che al liceo Virgilio, tra una lezione di latino e una di greco, è successo qualcosa che ha cambiato per sempre la vita del vescovo di Bologna.
David Sassoli, un anno più giovane di monsignor Zuppi (che è nato l’11 ottobre del 1955), dopo una vita nel giornalismo, adesso è presidente del Parlamento europeo. E tra un aereo e l’altro, prova a ripescare una «fotografia» del Matteo ragazzo. «Andavamo allo stesso liceo, Virgilio, di Roma — racconta —. Lui era un po’ più grande ed era famoso perché faceva parte di un gruppo che lavorava nelle periferie a contatto con i poveri della Capitale. Ho sempre pensato che quella esperienza sia stata fondamentale anche per la sua vocazione. Era magro magro, con la borsa di Tolfa a tracolla ed il maglione spesso bordeaux, che sostituiva il cappotto.
Lo ricordo da ragazzo con il sorriso e l’ho ritrovato sempre con il sorriso. Il cardinale Zuppi dimostra anche fisicamente la felicità di incontrare le persone».
Il maglione bordeaux e la borsa di pelle
È quel ragazzo magro magro con il maglione bordeaux e la borsa di cuoio in spalla che inizia ad andare nelle periferie insieme alla Comunità di Sant’Egidio, a fare assistenza ai poveri, agli anziani, ai disagiati. Tocca con mano quello che legge nel Vangelo insieme ad altri studenti.
«L’incontro con la Comunità — ha raccontato tempo fa Zuppi ad Avvenire — è stato per me l’incontro con un Vangelo che aveva qualcosa da dire: portavamo il Vangelo a scuola, anche in senso stretto. L’appartenenza a una comunità con un carattere anche profondamente laico per me è stato indubbiamente un vantaggio nel comprendere il servizio del prete, sempre e comunque legato a una dimensione comunitaria. Non isolato». Qualcosa di molto diverso dal cattolicesimo legato alla domenica e alla tradizione famigliare. Più vivo, più caldo, più passionale.
La famiglia Zuppi
Certo è che monsignor Zuppi, le cui caratteristiche sono emerse pienamente al liceo, è anche il risultato della sua famiglia. Numerosa, cattolica, acculturata. Una bella infanzia, ha raccontato qualche anno fa a un gruppo di studenti bolognesi. «La mia infanzia — ha risposto ai ragazzi pieni di curiosità — per mia fortuna, o per grazia, è stata bella. Sono quinto di sei fratelli , una sola femmina. Papà e mamma si sono voluti molto bene e ci hanno voluto molto bene». Il cappotto dal primo figlio passava al secondo e magari anche al terzo. «All’inizio — ha ammesso Zuppi — questo non mi piaceva, volevo il mio, di cappotto, ma è qui che ho imparato a condividere. Ci siamo amati perché eravamo in tanti, anche se uno può pensare che nelle famiglie numerose ci sia meno amore».
E di fatto, anche da sacerdote, monsignor Zuppi non ha fatto altro, nella sua vita, che ricreare quella grande famiglia allargata. Allargata ai poveri, agli emarginati, ai disabili, ai migranti. Quello è stato il suo «faro», oltre la fede: l’accoglienza. E se non fosse diventato sacerdote, gli hanno chiesto sempre gli studenti bolognesi, cosa sarebbe diventato? «Mi sarebbe piaciuto diventare astronomo, mi affascinavano le distanze. E se mi fossi sposato, mi sarebbe piaciuta una famiglia numerosa».


[ Daniela Corneo ]