Storia di Ibrahim, rinato a Genova

Oggi Ibrahim è un ventenne, ma la sua storia è quella di un bambino di 12 anni costretto a scappare da Abidjan, in Costa d’Avorio. «C’era la guerra – racconta – la mamma è stata uccisa, il papà era un militare e doveva stare al fronte». La fuga in Mali, poi ancora il Niger e la prigione in Libia dove, da ragazzino, ha visto le atrocità di un paese alla deriva: «I bambini morti, le donne incinte picchiate, la fame”.
A 17 anni sbarca in Italia, a Genova inizia a frequentare i giovani della Comunità di Sant'Egidio: «Con ragazzi della mia età – dice – ho imparato l’italiano. Adesso so scrivere, prima non ero mai andato a scuola». Vive in un centro gestito dalla Cooperativa Un'Altra Storia a Multedo, quartiere del ponente genovese. Nella città della Lanterna trova anche lavoro: «Sono nostromo, sollevo le barche con la gru e pulisco le carene degli scafi». Dopo il corso di edilizia presso il Campus di Coronata, infatti, ha ottenuto una borsa lavoro presso la lega navale di Sestri Ponente che si è trasformata in un contratto. Addirittura a tempo indeterminato. Nel frattempo si è iscritto anche alla scuola guida.
Ibrahim si è inserito nella parrocchia di Cornigliano e poi Sampierdarena, dove fa volontariato con i disabili e aiuta i bambini dell’oratorio. Frequenta diversi coetanei: un ragazzo con cui esce la sera ha 19 anni, uno meno di lui. La loro è un’amicizia particolare: a Multedo, quando si venne a sapere che l’ex asilo Govone (chiuso per mancanza di iscrizioni) avrebbe ospitato i migranti, esplose la protesta. In prima fila c’erano anche i genitori del ragazzo che sarebbe diventato uno dei migliori amici di Ibrahim.
Allora la Comunità di Sant’Egidio reagì andando a parlare in quartiere e soprattutto in tutte le scuole medie e superiori, facendo incontrare i giovani con i profughi. Tra di loro anche i due futuri amici. Da quell’esperienza, nel 2018, è nato il progetto “Storie di un’altra giovinezza”:
«Siamo stati – dice Ibrahim – in tante classi di Genova a raccontare chi eravamo e perché siamo venuti in Italia». «La domanda più difficile – aggiunge – è stata quando un ragazzino delle medie mi ha chiesto come mi sento senza genitori». Intanto il Mazzini, che è il liceo di Multedo, si è gemellato con i profughi, coinvolti in particolare in un progetto di teatro.

Purtroppo la situazione legale di Ibrahim non è andata di pari passo con la sua integrazione: la domanda di avere i documenti è stata respinta dalla commissione, sta aspettando l’esito del ricorso. Gli chiedo cosa succederà se il giudice confermasse che non può stare in Italia:
«Rimango troppo male – risponde – le cose più belle che ho sono a Genova». Ci pensa un po’ e, dopo alcuni minuti, decide di raccontare ancora: «C’è una persona che dalla Costa d’Avorio continua a minacciarmi: suo figlio è stato ucciso in una battaglia dal gruppo di soldati in cui combatteva anche mio padre. Per vendicarsi, nel 2017 ha già violentato mia sorella e bruciato la nostra casa. Ho paura di tornare».


[ Stefano Pasta ]