Fermiamo le guerre anche se lontane

Il punto di vista

Repubblica Centrafricana: una speranza dal cuore dell'Africa. "Stati falliti", così li chiamano gli studiosi. Sono quegli Stati dove non esiste un'amministrazione funzionante, un esercito che abbia il monopolio della violenza legittima, e i servizi alla popolazione sono una realtà possibile solo grazie alla presenza di ONG internazionali.
Visti dall'Italia sembrano luoghi lontani, abbastanza da non interessarsene. Ma nel mondo della globalizzazione, dove tutto è interconnesso e non c'è nulla di realmente isolato, è un'illusione ritenere di poter abbandonare pezzi di mondo alla violenza e all'anarchia. Si pensi all'Afghanistan, alla Somalia, al Mali, alla Siria e píù recentemente alla Libia, "Stati falliti" divenuti terreno fertile per forze terroristiche e criminali. Ne abbiamo misurato le conseguenze alle nostre frontiere e nelle città europee ferite dal terrorismo.
Per questo è importante la notizia che è giunta a febbraio da Khartoum, capitale del Sudan, dove è stato concluso un accordo di pace per porre termine alla lunga guerra civile che ha insanguinato la Repubblica Centrafricana dal 2013. Una "guerra invisíbile" per antonomasia, incastonata nel cuore dell'Africa, fonte di decine di migliaia di profughi riversatisi nei Paesi circostanti, altrettanto poveri e precari: Ciad, Camerun, Sud Sudan.
Con un gesto rivoluzionario, Papa Francesco aveva scelto Bangui, capitale del Centrafrica, per inaugurare il giubileo della misericordia. Egli aveva anche voluto scongiurare lo spettro di una guerra che, in questa cintura di terra arida posta a cavallo tra l'Africa musulmana e quella cristianizzata, stava assumendo il carattere di uno scontro religioso. L'ennesima guerra per il potere camuffata da quello "scontro di civiltà" che dal 2001 mette a repentaglio la convivenza tra cristiani e musulmani, spesso in luoghi dove questa è una realtà radicata.
Per questo è significativo che a fianco ai mediatori istituzionali, ai governi della regione e all'Unione Africana, abbia svolto un importante ruolo nei negoziati la Comunità di Sant'Egidio, un'organizzazione cristiana da anni al servizio del dialogo e della pace, specialmente in Africa. In questi anni, la sede di Sant'Egidio a Roma ha accolto i colloqui tra il governo e le numerose organizzazioni ribelli attive nella Repubblica Centrafricana, per ricucire la fiducia, creare ponti di dialogo, aprire la strada alla necessità di un disarmo. Perché è impossibile fare pace là dove chiunque ha in mano un'arma.
Lunedì 11 marzo, le speranze di pace della Repubblica Centrafricana saranno al centro di un incontro che si terrà alle 17.45 presso la Sala Frate Sole della Basilica dell'Annunziata (accesso da piazza Bandiera, 1), con le testimonianze di mons. Nestor Nongo-Aziagbia, presidente della Conferenza Episcopale Centrafricana, di rappresentanti di realtà laiche e religiose presenti nel Paese, e della Comunità di Sant'Egidio. Sarà l'occasione per scoprire la storia e il lavoro di molte organizzazioni che proprio partendo dalla Liguria svolgono in questo Paese un servizio straordinario come i Cappuccini liguri che vantano una presenza storica a partire dal 1949 quando ancora si chiamava Africa Equatoriale Francese, dei Padri Carmelitani partiti da Arenzano nel 1971 per realizzare una importante opera di aiuto sociale e sanitario, ed anche la Società Mission iAfricane (Sma) che opera nella regione di Bangui e Bassongoa con importante lavoro di accoglienza ed evangelizzazione, più recentemente l'associazione Tene Ti Ala che dal Tigullio sostiene le missioni di un piccolo villaggio nella savana a pochi chilometri da Bouara. Voci di un'Africa che non è solo cuore di tenebra, ma anche terra di riscatto e speranza per il futuro.


[ Giorgio Musso ]