Intervista a Andrea Riccardi: "Non c'è nulla da temere. Finalmente saranno chiari i motivi delle sue scelte"

Intervista a Andrea Riccardi: "Non c'è nulla da temere. Finalmente saranno chiari i motivi delle sue scelte"

Andrea Riccardi: la chiusura di un archivio non faceva una bella impressione, ora parlerà la storia
Sapremo più cose sulla nascita della Dc e sul ruolo giocato dal futuro papa Giovanni Battista Montini

C'è troppo timore per quanto può emergere dalle carte di Pio XII. Con l'apertura dell'archivio sul pontificato si potranno capire i motivi delle sue scelte, comprese quelle più discusse. Non ha dubbi Andrea Riccardi, storico del Cristianesimo e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, uno dei massimi esperti di Papa Pacelli.
Quanto è importante rendere pubbliche le carte?
«La decisione del Papa è molto positiva. C'era l'ipotesi di aprire l'archivio solo fino al 1945, ma io ero assolutamente contrario perché serve tutto il pontificato, come ha stabilito Francesco».
Come descrive l'attesa di questa apertura?
«C'è troppo timore per quello che le carte contengono. Anzi, la discronia tra il lavoro degli storici contemporanei e l'apertura degli archivi non ha giovato alla Santa Sede, perché si è lavorato su carte secondarie».
Che cosa deve temere la Chiesa?
«Nulla. Certo, con Pio XII ci troviamo davanti a un problema molto particolare: la questione della guerra e dei silenzi di fronte alle atrocità naziste, alla Shoah. Ma sono convinto che l'immagine che emergerà darà la storia concreta, la percezione dei protagonisti di questi eventi e spiegherà i motivi delle scelte».
Quali effetti si potranno avere?
«L'amore delle carte ridurrà gli scoop. Ma servirà un grosso e serio lavoro».
Il Papa nell'annuncio ha detto che «La Chiesa ama la storia»: che cosa ne pensa?
«Il discorso del Pontefice concretizza un rapporto tra la Chiesa e la storia, perché la Chiesa è storia e il cristianesimo è una religione storica. La Chiesa è storia del popolo di Dio e per questo i suoi documenti sono importanti. Ma questo non vuol dire che dobbiamo affrontarla in modo teologico, perché questa storia è in sé preziosa per la Chiesa stessa».
Come interpreta la reazione del mondo ebraico, da cui si registra, con delle eccezioni, soddisfazione e cauto ottimismo?
«Intanto una premessa: a chi ha delle domande da porre alla storia l'idea della chiusura di un archivio non fa una bella impressione. Ecco perché la scelta della chiusura che il Vaticano ha sempre spiegato con il problema della catalogazione io l'ho sempre contrastata, perché non è né nell'interesse della storia né della Chiesa. Alcuni miei interlocutori mi hanno detto: "Però così verranno fuori le raccomandazioni"; ma le raccomandazioni son già venute fuori, sono negli archivi diocesani. Mi colpisce il favore del mondo ebraico perché in fondo ha i ben noti problemi nei confronti di Pio XII. Però allo stesso tempo so che il mondo ebraico è attento a "fare storia" in maniera concreta e documentata».
Che cosa potrà emergere?
«Un patrimonio storico inestimabile. La nascita della Democrazia cristiana, ìl grande ruolo di Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, e il suo trasferimento a Milano, che fu considerato un allontanamento ma si sarebbe rivelato una preparazione al papato. Verrà fuori il ruolo di Roncalli, futuro Giovanni XXIII, nunzio durante la guerra e in Francia».
Quali sono i testi che attende di più?
«Quelli dei nove mesi dell'occupazione tedesca di Roma. Perché in quel tempo il Vaticano e Pio XII ricoprirono un grande ruolo, nel senso che aiutarono migliaia di persone, ebree e non, a nascondersi, e questo fatto fu decisivo nella storia di Roma. In un certo senso fecero un "gioco" con il comando tedesco, tranquillizzandolo, e dall'altro trasformando tutti gli spazi religiosi in luogo d'asilo. E fu un gioco non solo generoso ma anche intelligente».


[ Domenico Agasso jr ]