Alta tensione dopo la strage dei cristiani

Il presidente filippino Duterte ha visitato la cattedrale devastata domenica da un attentato che ha fatto 20 vittime. Si indaga su Abu Sayyaf. «Nessuna tregua ai terroristi».

Jolo è una città che vive in sordina, isolata dai militari dopo la duplice esplosione che domenica mattina ha fatto strage tra i fedeli e tra i militari del servizio di sicurezza durante la Messa nella Cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo. L'attacco, costato 20 morti e un centinaio di feriti - di cui decine restano ricoverati in ospedale - è stato rivendicato dal sedicente Stato islamico con cui da tempo gruppi ribelli attivi nel meridione filippino hanno stretto alleanza. Tuttavia le autorità filippine non hanno accolto questa rivendicazione, come pure l'ipotesi dell'attentato suicida.
Gli investigatori stanno cercando di ricostruire l'identità di sei individui sospettati di essere coinvolti nell'azione terroristica e di individuare i loro fiancheggiatori, ma le fonti militari sottolineano come proprio le misure di sicurezza possano avere spinto a utilizzare detonatori radiocomandati. Per la polizia, sarebbe coinvolto il gruppo Ajang-Ajang, fazione del movimento Abu Sayyaf, associato da tempo con il Daesh. Comunque sia, è difficile immaginare che un'azione del genere non possa essere stata organizzata da tempo usufruendo di appoggi locali. Il Sud del Paese, infatti, è da un anno e mezzo sotto la legge marziale e lo sarà almeno per tutto il 2019. Proprio questa circostanza ha evidenziato con disappunto lo stesso presidente Rodrigo Duterte ieri a Jolo, dove ha visitato la cattedrale e incontrato i feriti. Alle forze armate, che nei giorni scorsi avevano compiuto con successo operazioni contro basi guerrigliere sull'isola di Mindanao, Duterte ha chiesto maggiore incisività e promesso che non sarà concessa tregua ai terroristi.
Corale la riprovazione internazionale, tra cui quella del segretario generale dell'Onu e del segretario dell'Organizzazione della Conferenza islamica. Alla «fortissima condanna» del Papa, da Panama, per un atto di violenza attraverso il quale «la comunità cristiana è stata ricacciata nel dolore», si sono associati i vescovi filippini, riuniti per la loro Assemblea plenaria terminata ieri. I pastori hanno invitato i cristiani a «essere coraggiosi, forti nella preghiera, aver cura l'uno dell'altro» e a «vincere il male con il bene», unendosi «con tutti i musulmani e le comunità indigene amanti della pace per combattere l'estremismo violento».
L'Amministratore apostolico di Jolo, padre Romeo Saniel, ha ricordato che i morti sono deceduti «per la loro fede cristiana» in quanto hanno scelto di restare a Jolo «nonostante le minacce e l'insicurezza». Il vescovo emerito di Jolo, monsignor Angelito Lampon, e il cardinale Orlando Quevedo, che a Jolo è stato parroco per diversi anni, hanno espresso in un messaggio congiunto la «condanna totale» per una atto definito «satanico».
Di «violenza cieca che ha come unico obiettivo seminare terrore, proprio mentre il Sud delle Filippine è impegnato nella faticosa ricerca di una pace stabile e duratura» ha parlato la Comunità Sant'Egidio, attiva nel faticoso processo di pace che sembrava giunto a una svolta positiva con il referendum del 21 gennaio sull'autonomia musulmana. È necessario, ha ribadito Sant'Egidio, «proseguire sulla strada del dialogo e della riconciliazione».


[ Stefano Vecchia ]