Boom di suicidi in cella nessuno chiuda gli occhi

L'analisi
Ancora un suicidio nel carcere di Poggioreale. È il terzo nel giro di venti giorni. Questa volta è stato un giovane di 29 anni a togliersi la vita. Ha atteso che i suoi compagni di cella andassero al passeggio, mentre un altro detenuto dormiva sulla sua branda, per impiccarsi.

Era recluso nel padiglione Napoli dopo essere transitato nel reparto clinico, e nulla lasciava prevedere il suo proposito disperato. Tuttavia, nel 2009 per un tragico destino un altro suo fratello si era suicidato proprio nel penitenziario napoletano.
Gli altri due erano detenuti nel reparto di alta sicurezza e nel padiglione Torino, forse il più difficile dell'istituto. In questa sezione sono rinchiusi i collaboratori di giustizia marginali o i loro familiari, gli appartenenti alle forze dell'ordine, o le persone che hanno commesso reati «odiosi» per cui vengono separati dagli altri per il timore di ritorsioni. Si tratta di individui problematici e instabili che spesso fanno uso di tranquillanti per calmare le proprie ansie.
Sembra che le cause che hanno indotto il detenuto del reparto Torino a compiere il gesto estremo, siano legate a problemi avuti con la moglie, in attesa di un bambino. Sempre nel carcere intitolato alla memoria di Giuseppe Salvia, un agente di custodia impegnato nel sindacato, è stato arrestato mentre si accingeva a far entrare alcune dosi di droga nel penitenziario.
Questi episodi hanno destato molto sconcerto tra il personale del carcere napoletano, dove si sta riproponendo anche l'allarme per la ripresa del sovraffollamento, dopo che sono state superate le 2.250 presenze.
È un'estate calda quella che si preannuncia all'interno delle galere italiane. Oltre al caldo, i suicidi, già 34 dall'inizio dell'anno, e le aggressioni contro gli operatori penitenziari fanno salire la tensione. C'è un clima di spaesamento ed incertezza che si coglie tra i detenuti e il personale penitenziario. Le aspettative che in tanti avevano riposto nell'approvazione della Riforma sembrano ormai andate deluse. Il Consiglio dei Ministri ha rimandato alle Camere un testo che penalizza le misure alternative e che si basa su una impostazione carcerocentrica della detenzione, in netto contrasto con la responsabilizzazione e la rieducazione che invece era emersa nella proposta elaborata durante gli Stati Generali dell'esecuzione penale.
I sindacati di polizia penitenziaria imputano l'aumento di violenza al regime delle celle aperte, che consentirebbe maggiore libertà di movimento ai carcerati, oltre a dare la sensazione di essere più liberi e quindi di esprimere con più facilità la prepotenza e il sopruso. Ma io non credo che siano queste le cause del rigurgito di aggressività. Piuttosto vanno ricercate nella consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici, difficili da contenere. Ho assistito alla scena di un carcerato
che, in preda ad una crisi, ha scaraventato per terra un grande mobile di legno. A questo bisogna aggiungere il clima di aggressività diffusa che si respira nelle nostre città. Basti pensare alle numerose liti che scaturiscono da questioni di viabilità o peggio dalle brutali aggressioni con cui si pensa di risolvere questioni di cuore. La violenza e la mancanza di rispetto che alberga quotidianamente nella nostra società, attraversano anche le spesse mura delle galere. Bisogna poi considerare la mancanza cronica del personale che è sottoposto a turni e ritmi massacranti. La soluzione non può essere quella di avallare la «sacrosanta sofferenza» per chi si è macchiato di crimini.
Tuttavia, nel mezzo di questi eventi tragici e sconcertanti l'impegno del personale e dei volontari continua senza sosta. In un pomeriggio di inizio agosto si è svolta una piccola festa nel padiglione Genova, recentemente visitato da Roberto Saviano e dal Presidente della Camera Roberto Fico. Alla manifestazione, organizzata dalla Comunità di 
Sant'Egidio, non hanno potuto partecipare tutti i detenuti del reparto, poiché una circolare emanata dal provveditorato limita lo svolgimento degli eventi nelle ore pomeridiane nel periodo estivo, per la carenza di personale, proprio quando ci sarebbe più bisogno di iniziative della comunità esterna.
Più di trenta carcerati hanno potuto
trascorrere un'ora di svago tra poesie e canzoni, mentre qualcuno accendeva l'accendino come si fa nei concerti. Nel mezzo della festa una piccola gara canora, una sorta di festival di Napoli dietro le sbarre, ha accesso gli entusiasmi. Anche gli agenti sembravano divertiti e rilassati.
Antonio, con una magistrale interpretazione di «Tu ca nun chiagne», è risultato vincitore.
Nella sua vita, prima di allora non aveva vinto mai niente. Poi un gelato, questo per tutti i 100 occupanti del Genova, ha dato un po' di frescura. Al termine saluti e abbracci, poi tutti sono tornati dentro le celle roventi.


[ Antonio Mattone ]