'Le istituzioni in queste zone sono state assenti Chi ci vive si sente estraneo alla città '

Andrea Chiappori. Rresponsabile della Comunità di Sant’Egidio della Liguria, prima della missione a Genova della commissione d’inchiesta sulle periferie è stato audito a Roma, la comunità infatti opera nelle zone di periferia più degradate con presidi fissi da più di trent’anni

Se c’è qualcosa di davvero trasversale, nella politica di Genova degli ultimi trent’anni per le periferie, è l’assenza . «Le istituzioni, purtroppo, si sono viste in quei luoghi in modo sporadico, e non determinante. E invece, un segnale sarebbe fondamentale: perché uno dei problemi di chi vive ai margini è il fatto che non percepisce l’appartenenza alla città. Un senso di estraneità al corpo sociale molto preoccupante».
Andrea Chiappori, responsabile della Comunità di Sant’Egidio della Liguria, prima della missione a Genova della commissione d’inchiesta sulle periferie è stato audito a Roma. E a quella stessa commissione ha presentato una relazione dettagliata: molti di quegli spunti, infatti, si ritrovano nel report finale. Ma, prima di tutto, Chiappori e la Comunità di Sant’Egidio in quei territori lavorano da una vita: da 35 anni sono presenti a Begato, da dieci al Cep.
Cosa significa vivere ai margini, a Genova? «Questa non è una città con grandi periferie: ma ne ha molteplici. In senso geografico ed esistenziale. Pensiamo agli anziani: deboli, ai margini della società, soli, soprattutto a Sampierdarena. Ma la solitudine è anche quella che non ci aspetteremmo: dei giovani. Perché non esistono più luoghi aggregativi, e la periferizzazione è anche fisica, tanti ragazzi vivono in casa e non trovano sbocchi professionali».
Un focus è dedicato a Sampierdarena e al degrado. «Ecco, uno dei problemi è anche questo termine: periferie degradate. Un’espressione che identifica di solito le persone che causerebbero questo degrado. Invece, va imputato al declino di quella zona, che ha ragioni storiche: la chiusura delle grandi industrie, l’arrivo della Fiumara e la spersonalizzazione, l’abbassamento del valore delle case che ha creato ghetti. Questo non significa negare le difficoltà, ma capirne le cause».
La mancanza di consapevolezza è parte del problema? «Proprio così: ed è una questione che riguarda anche chi vive questa situazione, perché non sa spiegarsela. Bisogna dunque creare percorsi di consapevolezza della popolazione, partendo dalla scuola, che è spesso l’unico eroico presidio. Al Cep abbiamo la nostra scuola della pace che lavora con i bambini di elementari e medie, ma bisogna allargare: coinvolgere anche gli adulti».
L’emergenza più pressante è quella abitativa: secondo lei cosa si potrebbe fare? «La richiesta di case è costante, e a Genova siamo davanti al paradosso di uno spreco di alloggi vuoti perché mancano di manutenzione. Negli ultimi due anni, come Comunità di Sant’Egidio, siamo passati da zero a sessanta alloggi messi a disposizione per singoli e famiglie: al Carmine, in via Balbi, a Cornigliano. Ristrutturiamo gli spazi e concordiamo un affitto dilazionato. Ecco, credo che questo metodo si potrebbe traslare anche nel pubblico».


[ Erica Manna ]