«Destini afgani. Le incerte sorti dell’Afghanistan e di chi è costretto a fuggire». 1° aprile ore 17:45 alla Casa internazionale delle donne a Roma: un dibattito e un film

La guerra in Ucraina non deve far dimenticare il dramma dell’Afghanistan e l’impegno preso con i corridoi umanitari. Un dibattito e un film, Venerdì 1° aprile alle 17.45 alla Casa Internazionale delle donne a Roma
 
Destini afgani. Le incerte sorti dell’Afghanistan e di chi è costretto a fuggire. Questo il tema di un incontro pubblico in programma venerdì 1° aprile alle 17.45, alla Casa Internazionale delle Donne a Roma, in cui si parlerà anche del ritardato avvio dei corridoi umanitari promossi dal governo italiano per mettere in salvo in Italia altre centinaia di afgani che rischiano la vita dopo il ritiro Usa e il ritorno al potere dei talebani.
Al confronto, organizzato da Demos Democrazia Solidale, partecipano il presidente di Demos Mario Giro, il giornalista e politico Corradino Mineo, la coordinatrice dei corridoi umanitari per la Comunità di S. Egidio Daniela Pompei, e la corrispondente di guerra e direttrice di Radio Bullets Barbara Schiavulli. Interverrà anche la giovane rifugiata afgana Zarlasht Barek, che fino al 15 agosto lavorava a Kabul in progetti di varie organizzazioni internazionali. Moderatrice la giornalista Luciana Borsatti.
Al termine del dibattito verrà proiettato il film documentario “Afghanistan: Unveiling a Never-Ending Tale” di Diana Saqeb Jamal, regista afgana che sarà in collegamento online da Toronto. Presente in sala anche Setareh Ali Doost, che per il film - girato nel 2016 a Kabul raccogliendo le testimonianze di chi stava costruendo il futuro democratico del Paese -  ha realizzato le riprese e diretto la fotografia.
La tragica guerra in Ucraina e la nuova emergenza dei profughi da quel Paese non può far dimenticare il dramma afgano, e le responsabilità dell’Occidente nell’aver prima alimentato le speranze e poi tradito le promesse sulla possibilità di una democrazia in Afghanistan alternativa all’oscurantismo dei talebani. I quali hanno ripreso a violare i diritti umani e quelli delle donne, e hanno appena rinviato a tempo indeterminato l’attesa riapertura delle scuole per le ragazze. Le sanzioni vigenti contro i nuovi padroni del Paese, il venir meno degli aiuti internazionali su cui si reggeva quell’economia dopo decenni di guerra e il congelamento nelle banche estere dei capitali dello Stato concorrono intanto nel precipitare di una terribile crisi umanitaria: secondo stime delle Nazioni Unite, infatti, oltre 23 milioni di afghani soffrono la fame, un milione di bambini sotto i 5 anni rischiano di morire per malnutrizione, i redditi del 97% della popolazione saranno a fine anno al di sotto del livello di povertà.
A questo dramma si aggiunge quello di chi ancora sta rischiando la vita in Afghanistan per aver collaborato con il precedente governo o con Stati e Ong occidentali. Nelle convulse ultime due settimane dello scorso agosto l’Italia è riuscita a mettere in salvo circa 5 mila afgani, compresi i familiari di chi era in pericolo, ma altri 1200 sono ancora in attesa di partire per essere accolti dalla rete di accoglienza già messa in campo da mesi da Comunità di S.Egidio, Federazione Chiese Evangeliche, Tavola Valdese, Cei, Caritas e Arci, dopo la firma di un protocollo con il governo che coinvolge anche Unhcr, Imnp e Oim, ma che resta ancora sulla carta. Per loro, e migliaia di altri, non resta che continuare a nascondersi in patria o vivere nel limbo di chi è riuscito a fuggire nei Paesi vicini.