"La misericordia di Dio ha l'odore dei poveri dei deboli e di chi si affatica per la pace" Omelia del card. Tolentino de Mendonça nella IV Domenica di Quaresima

Omelia del card. Josè Tolentino Mendonca
IV Domenica di Quaresima "Laetare"
2Cr 36, 14-16.19-23
Sai 136 (137}
Ef 2, 4-5
Gv 3,14-21

Prendiamo l'immagine che ci offre oggi l'autore paolino in questo passo della Lettera agli Efesini: «Dio, ricco di misericordia». Più che un'immagine è una visione di Dio e di ciò che deve costituire il centro della nostra fede. «Dio, ricco di misericordia». Partiamo da qui. Qui, collochiamo con decisione il nostro cuore.

Proclamare che Dio è ricco di misericordia è un po' come costruire un ossimoro, quella figura retorica che accosta parole di significato contrario per estrarne un significato nuovo e vigoroso. Perché mentre il ricco accumula e, moltiplica le sue proprietà, il misericordioso invece se ne priva, dilapida i suoi averi nella pratica del dono. In realtà, dire che Dio è ricco in misericordia significa affermare che Dio non pretende di riempire sempre più la sua bisaccia, ma la svuota; che Dio non vuole accumulare, ma dare, e dare con tutto il cuore, fino all'ultima briciola, in una forma di amore aperto e infaticabile. Che Dio fa continuamente dono di se stesso. Che Dio non si cautela. Non ci guarda mantenendo tra Lui e noi una distanza difensiva. Al contrario: viene incontro a tutti noi in modo tangibile. Viene a contatto con la nostra umanità. E incessantemente. Si rivela come Colui che ascolta. Colui che perdona, che è capace di compassione, che si esprime nel lessico amorevole della tenerezza.

Ci sono poeti che, con quella libertà di parola e di immaginazione propria dei poeti, ci danno un'interpretazione concreta della misericordia di Dio e scrivono, per esempio, che Dio ha un odore. No, non è inodore. Dio è così vicino alla nostra umanità che assume l'odore di quelli che abbraccia. Dio porta in Se l'odore dei poveri e dei piccoli. Dio porta in Se' l'odore degli umili e di chi si affanna in mille modi per costruire la pace. Dio si riconosce nell'odore dei senzatetto e dei volontari dopo un estenuante turno di servizio. Nell'odore dei migranti e rifugiati. E a questo si chiama amore.

Continua l'autore della Lettera agli Efesini che abbiamo ascoltato: «Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo» (Ef 2, 4-5). Possiamo dire che il segreto della nostra vita è questo: un grande amore disteso sopra di noi. Siamo e eravamo come morti. Cristo ci ha fatto e ci fa rivivere.

Non so come si senta ciascuno di noi in questo preciso momento del suo cammino. Più stanco o più leggero. Più angosciato o più sereno. Più solo o più in compagnia. Più portato all'incertezza o alla speranza. Non ha importanza. Non ha importanza. Ha importanza che in ciascuno di noi si risvegli la coscienza del grande amore, di quella infaticabile misericordia col quale Dio ci ha amato e ci ama. Questa è la nostra ancora, il nostro trampolino di lancio, la forza necessaria per rivivere, anche se eravamo come morti.

E questa è alla fine la Buona Novella che ogni Essere Umano aspetta di più: che gli si ricordi, a parole o a gesti, l'amore, il grande amore verso la sua persona.

Ho sempre in mente una storia raccontata da Madre Teresa, certamente non nuova per la Comunità di Sant'Egidio, e che avrete anzi visto e vissuto da protagonisti innumerevoli volte. In visita in casa di un anziano che viveva solo, Madre Teresa si rese conto come il totale disordine di quell'ambiente fosse diventato lo specchio di un'umanità senza più valore. Si mise subito a cercare in mezzo a quella confusione una cosa qualunque, un oggetto che potesse servire alla ricostruzione. Vide una lampada piena di polvere e di sporcizia e la raccolse da terra. «Che bella lampada! Perché non l'accende? La stanza migliorerebbe molto»". Ma l'anziano rispose: «E per chi dovrei accenderla? Vivo qui solo e abbandonato!» E Madre Teresa chiese: «Se due suore venissero a trovarla tutti i giorni, l'accenderebbe la lampada?» L'anziano fece cenno di sì con la testa. Di fatto, due suore passarono a fargli visita tutti i giorni. E, a poco a poco, la s.ua vita andò ricominciando. Un giorno mandò a dire a Madre Teresa: «Grazie. La luce che lei ha acceso nella mia vita, non ha ancora smesso di illuminarmi».

Le situazioni, gli attori e le parole possono mutare. Ma nell'amicizia con i poveri avviene questo interscambio decisivo: ci ricordiamo del grande amore col quale Dio li ama. E i poveri ci dicono la stessa cosa, perché i poveri ci evangelizzano. Sono i poveri che ci aprono alla comprensione profonda del Vangelo.

«Dio, ricco di misericordia». La Quaresima non è altro che un tempo - proprio per la sua esigenza, per la sua tensione trasformatrice, per il suo impulso di conversione - non è altro che la possibilità di assaporare più ampiamente, più autenticamente la misericordia di Dio. Dio ama il mondo a tal punto da dargli il suo stesso Figlio, come ci ricorda oggi Gesù nel Vangelo di Giovanni. Dio non vuole condannare, ma vuole salvare attraverso la misericordia. Sentiamoci quindi toccati da questa misericordia. Sentiamo che la grazia di Dio di tutto si prende cura, tutto salva, tutto comprende, tutto accoglie. A tutto e a tutti Dio dà futuro; non c'è cosa nella nostra vita a cui Dio non dia futuro. Perché proprio della misericordia nasce la possibilità del perdono, della ripartenza, della reversibilità dei camini chiusi. Gesù vieni a dirci che niente è perduto, nessuno è lasciato indietro.

Fissiamo i nostri occhi su Gesù: il tempo della Quaresima è un tempo cristologico che ci mette a fuoco nella persona di Gesù e in questo sguardo pieno di amore, di misericordia che Gesù dedica a ciascuno di noi. In Gesù, Dio è pronto a venire a strapparci dall'esilio, Dio è pronto a venirci a prendere, a farci uscire fuori dal sepolcro, Dio è pronto a venire a liberarci dal silenzio degli inferni, dove tante volte vediamo finire la nostra vita. Dio è pronto a portarci sulle sue spalle di Buon Pastore. Perfino, come afferma il salmo, se le nostre lingue si dimenticano di Gerusalemme, e le nostre lire ammutoliscono, il Dio della vita e della Misericordia non si dimentica di noi.

È passato un anno dallo scoppio della pandemia. Cosa abbiamo imparato in tutto questo tempo? Non basta dire che è stato un annus horribilis, o registrarlo come una parentesi traumatica da cancellare con una veloce terapia di rimozione. E' vero che le impressioni che lascia sono ancora lette spesso in chiave contrastante: c'è chi parla di un'accelerazione del tempo o di un'interruzione che, anche se in modo precipitoso e distopico, ha fatto entrare in scena il futuro e ci ha spinto verso una nuova stagione della storia. C'è chi, semplicemente, ci vede soltanto una catastrofe e per di più una catastrofe al rallentatore, una crisi interminabile che ci ha costretto a vivere giorno per giorno, senza poter fare grandi pronostici, e a perdere così il senso della grande storia. C'è chi lo vede come un anno in cui è caduta la maschera e finalmente abbiamo scoperto la dimensione di una vulnerabilità che pesava già su di noi, ma che facevamo fatica ad ammettere. E c'è chi lo chiama l'anno che ci ha obbligato a portare maschere difensive contro un'aggressione del tutto inaspettata, della quale nessuno ci aveva avvertito.

Immersi in un anno in cui il maggior valore in gioco era la sopravvivenza, è difficile giungere a una visione complessiva, definitiva o sufficientemente ampia. Ma questa visione dovrà essere costruita; dovremo affrontare, con lo stesso coraggio, le cause e le conseguenze di questo cataclisma. Solo così sapremo che cosa abbiamo imparato dall'anno passato.

Tuttavia c'è qualche cosa che sappiamo già.

La prima è che non serve a niente sprofondare in un pessimismo punitivo sul mondo e sull'esistenza. Come scrive la poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura, Wislawa Szymborska, «Questo mondo terribile non è sprovvisto di grazie ,/ nemmeno di mattini/ per cui valga la pena svegliarsi». Se di qualche cosa abbiamo bisogno, è esattamente di una vera riconciliazione. Non ci serve né l'ingenuità dell'incanto del mondo, né il cinismo del tanto proclamato disincanto. Ci serve l'obiettività di custodi sensati che non si lascino offuscare dalla pura logica dello sfruttamento, ma responsabilmente si rendano conto dell'urgenza di ristabilire equilibri più stabili e duraturi.

La seconda cosa che già sappiamo è che le nostre società devono, con maggiore evidenza, mettere al centro di tutto la nozione di bene comune. L'accentuazione dell'individualismo ha condotto a una drammatica frammentazione dell'esperienza sociale. Il "Si salvi chi può" o il "Tutto contro tutti" non sono strategie di futuro, come si ricorda nell' Enciclica Fratelli Tutti. Non possiamo non valutare l'impatto dei diversi aspetti della vita sociale, politica, economica e culturale sul complesso della società o dell'intera famiglia umana. Né ignorare che le decisioni (o le cattive decisioni) di oggi avranno un riflesso di lunga durata che condizionerà la vita delle generazioni future. Servire il bene comune - che, in fondo, è servire la persona umana, la sua dignità unica e inviolabile - deve diventare il nostro obiettivo mobilizzante come comunità.

La terza cosa imparata, penso, è il riconoscere che abbiamo bisogno, come ha precisato Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2021, non solo di una rotta comune in questo mondo globalizzato, ma anche di una rotta veramente umana. Perciò dobbiamo farci guidare dalla preziosa bussola dei principi sociali, indispensabile per promuovere la cultura della fraternità, del rispetto reciproco, della solidarietà e della cura, nella linea dei diritti umani fondamentali, che sfortunatamente sono ancora lontani dall'essere considerati inalienabili, indivisibili e universali.

La quarta cosa è il constatare quotidianamente che le donne e gli uomini che soccorrono il mondo in momenti difficili come questo sono quelle e quelli che confidano nel potere della misericordia e che ne danno testimonianza con umiltà, abnegazione, gratuità, coraggio.

Chiediamo al Signore, ognuno chieda al Signore nel suo cuore, che c'insegni l'arte della misericordia. Così saremo in Dio.