Piera, Lia, Abramo, Rosa, Selma e Mario, Mois­è. Quei livornesi con la stella gialla

Frisini: "Prendiamoci cura degli altri. C'è un'umanità da salvare, non c'è da recitare il ruolo di eroi".
Sant'Egidio: "Attenzione alla propaganda che prepara il terreno al disprezzo"

Con tre giornate convergenti sull'unico 'Giorno della memoria' la Comunità di Sant'Egidio con la Comunità Ebraica, in collaborazione con il Comune di Livorno, la Diocesi, la Regione Toscana e l’Istituto Storico della Resistenza, ha promosso la scorsa settimana a Livorno quattro momenti di confronto nelle scuole, declinando di fatto in tutta la città l'incontro tra la memoria e i testimoni della Shoah e dei loro congiunti: nelle Scuole Carducci, con Anna e Laura Galletti, nipoti di Piera e cugine di Lia Genazzani; con le scuole della zona sud della città con Laura Galletti, mentre Grazia Levi Coen ha parlato agli allievi delle scuole del centro; mercoledì 29 gennaio, nell'auditorium "Pamela Ognissanti", con le scuole della zona Nord e gli interventi di Edi Bueno, anziana livornese, scampata alla deportazione, e Pierluigi Frisini, figlio di Lida Basso, insignita dell’alta onoreficenza di giusta tra le nazioni per aver salvato un numeroso gruppo di ebrei francesi che si erano rifugiati nelle campagne pistoiesi.

Edi Bueno raccontando la sua storia, ha descritto la sua vita da bambina, prima e dopo le leggi razziali, sottolineando come questa sia cambiata in seguito alla promulgazione delle leggi. L’esclusione è stata preparata dalla propaganda fascista negli anni precedenti e poi di fatto, attuata nella vita quotidiana, impedendole di continuare a vivere normalmente, di andare a prendersi un gelato, di andare a scuola, come pure di giocare con le altre bambine perché “ebrea”. Seppur bambina, aveva intuito che la cattiveria intorno stava crescendo e che sempre meno spazio era destinato ad esserci nella vita della città per gli ebrei. Ha insistito sulla necessità di vivere insieme, e di non creare differenze, perché il sangue che scorre nelle vene di tutti è lo stesso, così come la pelle, -siamo tutti “fatti di carne”, ha detto- tutti abbiamo diritto di vivere.
Edi si è mostrata preoccupata per i rigurgiti di antisemitismo, per il razzismo che sembra tornare a minacciare il nostro tempo. Ha messo in guardia i bambini da questo, perché la sua storia dimostra come sia facile tornare a far vivere gli uomini separati gli uni dagli altri, a farli sentire diversi solo per la religione o il colore della pelle diversa.

Accanto alla voce di Edi, quella di Eliana Corcos che ha ricostruito la sua storia e quella della sua famiglia, sottolineando il coraggio del maresciallo dei carabinieri che ha voluto salvarli, insieme a quello che sarebbe divenuto suo cognato, lui pure carabiniere.

Pierluigi Frisini ha parlato della vita di Lida Basso, sua madre, della scelta di aiutare gli ebrei che arrivavano dalla Francia al seguito delle squadre fasciste in ritirata. Ha lasciato come messaggio ai bambini l’importanza di fermarsi accanto a chi è in difficoltà, a “prendersi cura” degli altri, perché solo questo può fare di noi degli uomini e delle donne giusti, come Lida: “C’era un’umanità da salvare non da recitare il ruolo di eroi”.

Storie raccontate, voci che accompagnano un'educazione umana, che fanno capire - è stato osservato dalla Comunità di Sant'Egidio, "quanto gli uomini possono sbagliare ed essere capaci di fare del male, di infliggere dolore e sofferenze agli altri come è successo negli anni della persecuzione e della deportazione dovuta agli effetti delle leggi razziali. Oggi è ancora così, ci sono ancora tanti bambini che fuggono, a piedi nudi e che cercano qualcuno che li accolga. Bisogna saperlo, le notizie alla Tv di profughi e gente che fugge ci arrivano ogni giorno. Dobbiamo parlare, conoscere, studiare, capire, farci delle domande di fronte alla propaganda del disprezzo che ci allontana tutti e ci rende meno umani. C’era una propaganda che aveva preparato il terreno della differenza e che avrebbe giustificato il manifesto della razza, le leggi razziali e poi la persecuzione e l’eliminazione degli ebrei".

Accanto alla voce dei testimoni, l'altro segno: sono state impiantate nelle strade livornesi sei pietre di inciampo, di cui quattro in via Strozzi e due in via del mare, davanti alle abitazioni da cui furono portati via ebrei della città: le prime sono dedicate a Rosa Adut, Abramo Levi e ai loro due figli Mario Mosè e Selma (Nissim il terzo figlio fu ricordato già nel 2017); le altre due sono dedicate a Piera Galletti e a sua figlia Lia Genazzani. Le sei nuove “stolpersteine” vanno ad aggiungersi alle altre 17 impiantate in questi anni.

Si può costruire un mondo diverso, cominciando da noi stessi, sull'esempio dei 'giusti', cioè quelli che hanno colto l'appuntamento con la storia e hanno preso le parti di chi era indifeso. Le “stolpersteine”, le “pietre d'inciampo” , sono il segno visibile di questa memoria che non rinuncia a costruire.