"Una Chiesa comunità, forte dell'amore gratuito che il Vangelo genera tra gli uomini". La prima omelia da cardinale di Matteo Zuppi

Prima Messa di S. Em. Card. Matteo Maria Zuppi
Roma, 5 ottobre 2019
in Piazza Santa Maria in Trastevere

Letture
Ab 1,2-3; 2,2-4
Sal 94
2 Tm 1,6-8.13-14
Lc 17, 5-10

Omelia

Mi sono sempre piaciute le feste e penso che Dio è il più grande organizzatore di feste – se qualcuno aveva un dubbio può venire qui e si rende conto – e vuole che sia per tutti e che non finisca. Sento, ed è una grande gioia per me, che ognuno di noi ha un motivo questa sera per essere contento per quel legame che ci unisce tutti, che in realtà è un sacramento di Dio: l'amicizia. Lui è il migliore amico degli uomini e seguirlo, prenderlo sul serio, ci rende amici, ci fa credere nell'amicizia oltre le delusioni e ci libera da un cuore che si rattrappisce e pensa di star bene senza amare il prossimo.
Questa sera ci sono tanti, tantissimi fili di amicizia che sento come il “cento volte tanto” del Vangelo (forse il “mille volte tanto”! Essendo un po' “testone”, Dio ha voluto essere del tutto chiaro per farmi capire e vincere qualsiasi diffidenza). Ma è un cento volte tanto di cui gode ognuno di noi. Davvero è una festa per tutti. È davvero una festa per ognuno di noi.

“Una gioia condivisa con molti è più abbondante anche per ciascuno”, diceva Sant'Agostino, “ci si riscalda e accende a vicenda”. Sento questa celebrazione come festa di comunione. La Chiesa ho imparato ad amarla come una casa dove tutto ciò che è mio è tuo. È l'ideale degli Atti degli Apostoli, che tanto appassionavano i primi anni, e anche quelli dopo, del cammino con la Comunità: “Avevano un cuore solo e un'anima sola”. Vivere il Vangelo significa potersi amare tanto, sentirsi una famiglia perché la Chiesa è soprattutto famiglia dove impariamo a pensarci una cosa sola e dove impariamo come ci si ama.  È un legame che comunque si manifesta e cambia tutta la nostra vita. È il sacramento dell'amicizia che mi ha accompagnato nelle varie tappe.

Sono i tanti fili che vedo questa sera radunati in questa piazza davanti a questa casa di amore. Penso alla Comunità di Sant'Egidio, alle Parrocchie di Santa Maria e di Torre Angela, a tante comunità e parrocchie del centro storico e poi, in questi anni intensi, alla Chiesa di Bologna. Alcuni, tanti, tantissimi di questi incontri sono stati come angeli che mi e ci hanno aiutato a contemplare la presenza del Signore. Alcuni di questi celebrano questa festa con noi dal cielo e li sento vicini perché l'amore non finisce e la fede ci aiuta a contemplare quello che altrimenti resta oscuro.
La mia vita, ma direi la vita, è sempre composta da tanti pezzi che ci hanno fatto, che mi hanno fatto e che sono parte di me. Oggi posso vedere – ma credo che la vediamo tutti – la gioia di essere insieme un pezzo della nostra vita comune: esattamente il contrario dell'individualismo. Il riconoscimento di Papa Francesco è per ognuno di questi pezzi, per questo noi che è la comunione. San Francesco per descrivere il frate perfetto non indica uno che abbia tutto ma descrive le qualità di diversi frati, per cui ‘perfetto’ in realtà è la comunità che mette assieme tutti i vari doni (la fede di Bernardo, la semplicità di Leone, la cortesia di Angelo, il buon senso di Masseo, la contemplazione di Egidio, la preghiera di Rufino, che pregava anche dormendo, la pazienza di Ginepro, la carità di Ruggero, la santa inquietudine di Lucido). Di ognuno sapeva trovare quello che lo aveva reso importante per tutti. Potrei dire qualcosa di tutti voi. La comunione ci fa cercare nell'altro la cosa unica, sua, la valorizza e la fa crescere. Ognuno di noi, me per primo, è figlio di questa comunione.
Gesù, che è il vero ed unico cardine, unisce ognuno di noi a Lui e anche tutti noi insieme.
Ecco perché la celebrazione di oggi è gioia. La nostra è una Chiesa comunità, forte dell'amicizia e dell'amore gratuito che il Vangelo genera tra gli uomini, geografia umana di persone e storie concrete. Dio vuole che ogni uomo sia riconosciuto per il dono che è e la comunione ci chiede sempre tanta cura, sintonia con i fratelli, fare propria la condizione dell'altro dove nessuno è estraneo e tutti sono importanti. Il cardine è Cristo e con lui quel Pietro indicato come roccia sulla quale è costruita la sua chiesa. Il suo successore presiede questa comunione alla quale si ubbidisce, non ci si sottrae o peggio la si offende.


Vorrei che da questo mio e quindi nostro riconoscimento possiamo capire il valore che viviamo, che siamo e che ci è affidato. Capire questo valore, conoscendo di nuovo con ancora più consapevolezza la grandezza di Dio, che solleva proprio l'umile nostra storia, che abbatte il superbo e che riesce a compiere cose grandi con la nostra pochezza. Riconosciamo questi tanti doni anche per non aver paura, per donare con più generosità il tanto che abbiamo ricevuto e per sentire anche la grazia di esser parte di questa comunione. Non ci facciamo intimidire dal male che vuole spegnere l'amore e renderlo insipido, farci credere che non vale la pena, che non abbiamo niente da dare o che donare sia perdere, mettendo in contraddizione il personale star bene con la costruzione della famiglia di Dio.

Papa Giovanni vedeva la Chiesa come una fontana dove chi ha sete si ferma, che è acqua offerta a tutti, sempre e facilmente accessibile perché non è per pochi e selezionati iniziati, dotti, severi e arcigni difensori di verità senza amore. È una madre e per questo è maestra, non viceversa. È una madre che ama con benevola e infinita misericordia, una madre gioiosa, semplice; prova simpatia e quindi è attraente; non ha paura dell'uomo e nemmeno del suo nemico, il male, perché ha l'amore che è più forte di ogni male.

Infine, una considerazione sulla porpora. Nel Vangelo vi sono due porpore. Quella del ricco epulone, accompagnata dal lino finissimo e legata alla tavola imbandita. Insomma la mondanità, la porpora fine a se stessa, che diventa come le belle vesti dei farisei o l'esibizione stolta di chi si crede ricco. L'altra porpora è quella di cui viene vestito Gesù prima di essere crocifisso (Mc 15,17), per schernirlo, caricatura del re che diceva di essere, ultima sua umiliazione della forza del mondo, dimostrazione della sconfitta sua e dei suoi sogni. Il povero Lazzaro mi e ci strappa dalla mondanità e la porpora mi deve avvicinare, ci deve avvicinare alle tante sofferenze di uomini e donne crocifissi, umiliati, scherniti dalla forza del mondo folle che non sa amare la fragilità.

Papa Francesco mi ha scritto, parlando della sua scelta, e l'ha ripetuto oggi insistendo sulla compassione: “Agli occhi del mondo questa, la porpora, è generalmente intesa come una promozione, un’ascesa nella scala delle funzioni o l’entrare a far parte di una certa nobiltà corporativa. Una visione di questo tipo non intende, anzi confonde, il vero significato del cardinalato. Pensando a ciascuno di voi mi è venuta al cuore una parola: compassione. Che questo nuovo passaggio della tua vita ti faccia crescere nella capacità di compassione per imitare di più Gesù, compassione verso tutti gli uomini e le donne che, vittime e schiavi di tanti mali, guardano e aspettano un gesto di tenerezza da parte di noi che crediamo nel Signore”. Ecco, cardinale è un uomo della compassione, quella di Gesù che guarda così la folla.
Ogni cardinale ha un titolo, lo accennava prima Vincenzo, perché in antichità erano i parroci di Roma. (Quando facevo parte della categoria trovammo anche una piccola dimostrazione ma subito si perse. Santa Maria in Trastevere era nell'elenco, che è cronologico, praticamente la parrocchia numero uno. In realtà la numero due perché la prima è la Cattedrale San Giovanni; la numero due nell'elenco dei titoli delle parrocchie di Roma è Santa Maria in Trastevere). Vuol dire l’universalità, ma anche il legame fisico con la Chiesa di Roma che presiede nella comunione. La comunione non è un simbolo, ma una storia di uomini. Il titolo che il Papa, vescovo di Roma, mi ha voluto attribuire, e ne sono fiero e intimorito, è quello di Sant'Egidio.

L'universalità l'abbiamo imparata proprio a Roma, figli della Chiesa di Roma, da quella piccola chiesa aperta sul mondo degli uomini, sul villaggio globale, attenta al rione e a tutte le latitudini. La preghiera e la Parola ci hanno indicato che l'unico confine è quello dell'amore, notoriamente senza confini. Non si può vivere perdendosi nelle navigazioni digitali senza volto, ma si è universali amando il piccolo e il mondo, quel fratello, il fratello, non un fratello, con intelligenza e umanità, con la cultura che viene dalla conoscenza della sofferenza e da esperti di umanità, trovandosi a casa dappertutto perché nell'amore tutto è nostro.

Ecco Sant’Egidio, con la sua porta piccola (piccola perché in effetti è piccola la porta di Sant’Egidio) ma che apre sul mondo. È così per tutte le comunità. Come il granellino di senape. Allora non dobbiamo avere più paura adesso che abbiamo visto come – nonostante la nostra poca fede, i limiti evidenti personali, parlo per me, il tempo e le occasioni perdute, la mediocrità che pensavo mi giustificasse – la fede può far crescere alberi grandi e spostare le montagne. Niente è impossibile a chi crede. E tutto è possibile. E il mondo ha bisogno di credenti, che vedono le messi biondeggiare anche se mancano quattro mesi alla mietitura, perché vedono con gli occhi di Gesù, quelli appunto della compassione.
Si dice che il cardinale è principe della Chiesa. La vera nobiltà nella Chiesa è esattamente il contrario del mondo. Principesca è solo l’amicizia! Primi nella Chiesa sono i poveri. E in realtà ogni cristiano, proprio perché cristiano, è sempre un gran signore perché rende ricchi gli altri con  l'amore che gli ha affidato Gesù. Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
L'invito dell'apostolo lo sento diretto a me ma certo a tutti noi. In questa comunione davvero tutto ciò che è mio è tuo. Non vergogniamoci dunque di dare testimonianza al Signore Nostro e aiutiamoci a farlo, aiutatemi a farlo, incoraggiandoci a vicenda, con la forza di Dio, servi inutili, presi a giornata dalla grazia del Padre.

Con questa consapevolezza chiedo di continuare a servire e amare la Chiesa, la sua comunione da difendere e accrescere la città degli uomini a cominciare dai poveri. E il riconoscimento ci aiuta a conoscere ancora di più, a comprendere ancora di più, a ringraziare ancora di più, a vedere ancora di più la presenza del Signore nella pochezza della nostra vita. La gioia del Signore è e sarà la nostra forza perché quel seme, quel piccolo seme possa dare sempre tanti frutti di amore per la Chiesa e per la città degli uomini. Amen.
 

Trascrizione a cura della redazione
www.santegidio.org

 

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