Il rifiuto dell'antisemitismo comincia da giovani: gli studenti di Roma incontrano Lea Polgar, discriminata da bambina dalle leggi razziste del 1938 #NoMemoryNoFuture

La storia di una famiglia salvata dalle deportazioni. Verso la memoria del 16 ottobre '43

La platea del teatro Ambra Jovinelli è stracolma di ragazzi, sono più di 1600 studenti di 20 scuole romane. Ma il silenzio è totale quando Lea Polgar, ebrea nata nel 1933 a Fiume descrive con ricordi d’infanzia, i duri anni della guerra e del regime a 1.600 studenti di 20 scuole superiori di ogni quartiere di Roma, dal centro alla periferia.
Racconta la storia tragica di una bambina che a 5 anni conosce l’ingiustizia delle leggi razziali e deve lasciare la scuola, ma anche la storia di tanti uomini e donne che hanno scelto di aiutare la sua famiglia, e le ha permesso di scampare alla deportazione.

L'evento, dal titolo “No memory no future” è stato organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Giovani per la Pace e si è tenuto il 10 ottobre al Teatro Ambra Jovinelli, proprio all'indomani della violenza antisemita avvenuta da Halle, in Germania, e in preparazione della celebrazione del ricordo del 16 ottobre 1943, giorno della deportazione degli ebrei romani.

La testimonianza

Ha gettato una luce sui sentimenti degli italiani, alcuni dei quali “impensabili”. In negativo, l’avidità del gerarca fascista che voleva impadronirsi di casa Polgar; la spregiudicatezza dei delatori che consegnavano intere famiglie per guadagno; l’ingenua cattiveria dei bambini a cui era stato insegnato che gli ebrei erano diversi, descritti come esseri mostruosi, con la coda e il piede caprino, come un diavolo.
In positivo, invece, numerosi sono gli esempi nel vissuto personale di Lea, che ha avuto un destino molto diverso dai milioni di ebrei che furono mandati a morire nei campi di concentramento, sorte che ha colpito parte della sua famiglia. Ricorda con gratitudine ogni gentilezza inaspettata di chi si esponeva al rischio di proteggere famiglie ebree, come i coniugi Mistruzzi, che la accolsero a Roma in viale Carso 46, dove oggi c’è una targa che li ricorda come Giusti fra le Nazioni.

Del periodo in cui potè frequentare la scuola ebraica ricorda le offese antisemite rivolte per strada dagli altri bambini. Portare il grembiule di pomeriggio rendeva lei e i suoi compagni facilmente identificabili.
Nell’incontro con gli studentiLea Polgar  ha mostrato la sua pagella in cui era scritto grande con penna rossa “razza ebraica”: l’antisemitismo era tanto nel linguaggio comune quanto in quello istituzionale. Il quadro della condizione degli ebrei dopo le leggi razziali, con una minuziosa esclusione da ogni ambito della società, è pieno di conseguenze per la vita di Lea. A partire dalla perdita del lavoro del padre, che non poteva esercitare più la professione di avvocato, al forzato abbandono della città natale, Fiume, dove tutti li conoscevano come ebrei.

Vedendo le immagini del pellegrinaggio dei Giovani per la Pace ad Auschwitz  e rispondendo alle domande degli studenti, ha fatto un appello ai giovani perché continuino a “ragionare con la propria testa”. La cultura è un argine affinché ingiustizie di tale portata non si ripetano mai più. Ignoranza e fanatismo, nemici della cultura, impediscono di conoscere gli altri e portano la società a riversare odio sulle minoranze.

Il dialogo con la storia avvenuto a “No memory no future” è una tappa di un percorso che prosegue con la marcia in memoria della deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943, che la Comunità di Sant’Egidio insieme alla Comunità ebraica di Roma propone con testimonianze, riflessioni e un corteo il prossimo 12 ottobre, alle 19:30, partendo da Piazza Santa Maria in Trastevere per raggiungere il Portico d’Ottavia nel ghetto ebraico.
 

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