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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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7 Settembre 2009 09:30 | Convento dei Domenicani

Intervento



Joan Pelushi


Metropolita ortodosso, Chiesa di Albania

Il mondo di oggi presenta molte sfide per l’intera umanità. Le Chiese cristiane non si possono esimere da queste sfide. Devono confrontarsi con esse,  non solo difendersi da esse come è spesso successo, per trovare soluzioni originali e creative come parte della loro responsabilità globale.

Uno dei tanti problemi del tempo presente per l’Europa è l’immigrazione, un tema complesso che coinvolge diversi attori ed elementi. Sfortunatamente, le nostre società hanno perso molti valori tradizionali, creando un grande vuoto che spesso genera paura dello straniero e accresce sentimenti nazionalistici. Questi possono causare fenomeni davvero peccaminosi come la xenofobia e l’inimicizia tra i popoli, fenomeni che conducono spesso alla restrizione dei diritti individuali e delle nazioni, a persecuzioni, e ad altre manifestazioni violente.

"Xenofobia" deriva dalla parola greca xeno, che significa "straniero" o "estraneo", e phobia, che significa paura. Tra il forestiero e coloro che lo circondano vi è tensione reciproca. In tutti i popoli il forestiero è originariamente il nemico, per questo molte nazioni hanno una sola parola per esprimere entrambi. Ma la parola xenos ha anche il significato di ospite. Il senso basilare del termine hostis è quello di nemico, ma la stessa parola è usata per host – ospite. Dunque, le parole ospitalità e ostile hanno la stessa radice. La differenza non è nelle parole ma nell’attitudine verso lo straniero ( xenos, hostis). Se noi guarderemo allo straniero (xenos, hostis) con paura lui sarà il nostro nemico e questa è la xenofobia, quell’attitudine fobica verso gli stranieri. Ma se lo trattiamo con amore, che è la filoxenia (l’amore per lo straniero) allora lo straniero cesserà di essere un nemico e diverrà un amico. La differenza tra xenofobia e filoxenia è la differenza che c’è tra odio e amore per gli stranieri.

Il passaggio da xenos, hostis come nemico a xenos come ospite è il risultato di una lunga strada, che è la strada verso la civilizzazione. Già Omero aveva diviso le nazioni in selvagge, che disprezzavano i deboli e civilizzate, cioè quelle che erano ospitali e timorate di Dio. La religione ha giocato un ruolo primario in questo sviluppo. "Il timore di Dio, l’ospitalità e la civilizzazione sono co-essenziali". Nel Nuovo Testamento Gesù mostra questo amore libero e incondizionato verso lo straniero. Per Lui l’amore per lo straniero è un caso particolare dell’amore per il prossimo. Nella parabola del buon samaritano il prossimo è lo straniero e nella scena del Giudizio finale (Matteo 25) il modo con il quale accoglieremo lo straniero sarà decisivo per il nostro destino nell’eternità. "Ero forestiero e mi avete ospitato" sono le parole della beatitudine eterna ed "ero forestiero e non mi avete ospitato" sono le parole della condanna eterna.

Questo pensiero non è nuovo. Tra gli ebrei troviamo il detto che l’ospitalità nei confronti dei viandanti stranieri rende partecipe del mondo futuro anche i pagani, poiché l’ospitalità è uno degli investimenti il cui interesse è pagato in questo mondo e il capitale nel mondo che verrà. La stessa idea è presente anche nell’Islam. Anche nella religione Parsi l’ospitalità verso lo straniero è un criterio per stabilire la vita eterna di un anima. Nelle religioni dell’antica Grecia nell’aldilà gli uomini sono puniti per il male fatto agli stranieri.

Per i primi cristiani l’amore (agape) implica sempre la filoxenia. Perciò quest’ultima gioca un ruolo significativo nell’insegnamento etico. Secondo Romani 12,13 e 1 Pt.4,8 e molti altri scritti degli apostoli e successivi, la filoxenia è inseparabile dall’amore per il fratello (Philadelphia) ed è inclusa tra le virtù. Questo perché la filoxenia per i primi cristiani è agape-amore ed è vista come un carisma divino dei credenti. Inoltre, nella Lettera agli Ebrei (13,2) si esorta ad una costante filoxenia non in vista di una ricompensa, ma per la possibilità o meno di entrare in contatto con il mondo metafisico che la filoxenia-ospitalità comporta. Purtroppo, oggi il mondo manca proprio di questo contatto con l’altra dimensione della vita (o per meglio dire con la vera dimensione della vita) e cosi questo divorzio con il divino ha impoverito la nostra vita e ha reso le nostre società egoiste, ciniche, finendo a pensare che solo con il potere delle loro menti fredde potranno trovare soluzioni ai loro problemi, senza una presenza o aiuto divino. La stessa antica menzogna va avanti pensando e credendo che possiamo costruire la nostra vita e il nostro futuro solo con i nostri sforzi personali, senza Dio, chiudendo in questo modo la porta al suo intervento.

Oggi più che mai c’è bisogno della presenza dello spirito di Dio e la religione oggi dovrebbe giocare lo stesso ruolo perché stiamo di fronte un fenomeno crescente di xenofobia almeno in tutti gli Stati europei. Secondo un sondaggio di opinione condotto recentemente, circa un cittadino europeo su tre si descrive come "abbastanza razzista" o "molto razzista", e più di uno su cinque è d’accordo sul fatto che tutti gli extracomunitari devono essere rimandati al paese d’origine. "Fobia in questo contesto non è solo inteso in senso clinico, ma piuttosto si riferisce a una parte della rete di ideologie razziste predicate in discorsi e  pratiche discriminatori" (Blackwell Encyclopedia of Sociology).

Indubbiamente noi non abbiamo un potere legislativo e sicuramente manchiamo delle competenze necessarie per trovare soluzioni a tutti i problemi, ma abbiamo un tesoro prezioso nella nostra dottrina e nella nostra fede e possiamo dare un contributo molto importante insegnando alla nostra gente e diffondendo il giusto spirito, poiché molti problemi non possono essere risolti tecnicamente, essi richiedono anche una volontà retta. Possiamo avere delle leggi giuste, ma senza uno spirito giusto esse non ci aiuteranno. Si può avere una fede giusta, ma se è nelle mani di gente sbagliata essa andrà persa e non sarà proficua. Per questo, dobbiamo radicarci nella nostra dottrina, nella nostra storia, nella nostra ricca tradizione senza smettere di essere organismi creativi e vivi, rinvigoriti dallo Spirito Santo che è stato effuso e continua ad essere effuso sulla nostra vita.

L’antropologia cristiana è basata sulla rivelazione divina che dice: "Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza" (Gen. 1,26-27; 5,1). L’incarnazione del Signore e la sua opera soteriologica dimostra che Dio non è solo il Dio degli ebrei, ma anche dei Gentili (Romani 3,29). La Chiesa, che è costruita su queste fondamenta, non divide i popoli su base nazionale o di classe: in lei "non c’è più greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti" (Colossesi 3,11). Dunque la Chiesa è per sua natura universale e quindi sovranazionale. Nella Chiesa "non c’è distinzione tra giudeo e greco" (Romani 10,12). Questa è la base dell’idea cristiana di nazione e di razza. Le Sacre Scritture, come vari testi apostolici e successivi agli apostoli, ci testimoniano l’idea che la Chiesa dei primi secoli aveva di se stessa. Di fronte a questa crescente fobia verso gli stranieri le Chiese cristiane non devono rimanere in silenzio. La Chiesa dovrebbe avere una forte voce profetica contro la xenofobia e deve lottare risolutamente contro questo demone dell’odio. Il ruolo profetico della Chiesa consiste nel dire ciò che dice Dio. Nel nostro tempo, in cui regnano le menzogne e le mezze verità, c’è un disperato bisogno del ruolo profetico della Chiesa, c’è un disperato bisogno di vite vissute "in spirito e in verità". A volte la vera fede è imprigionata dalle catene del compromesso, cioè del non dire il vero perché costa. Vivere nella verità non è facile, ma è il solo modo per essere ontologicamente liberi. Spesso la verità non coincide con ciò che la gente vuol sentirsi dire. Il cristianesimo non è per l’intrattenimento della gente ma per salvarla. Il ruolo profetico della Chiesa consiste nel dire ciò che Dio dice. Sappiamo dalle Sacre Scritture quanto la frase "così dice il Signore" costasse ai profeti. Tutti loro sono stati perseguitati e uccisi per aver detto "così dice il Signore", per aver detto le parole di Dio. I re, i governanti, i sacerdoti e  il popolo volevano che i profeti dicessero solo quello che volevano sentirsi dire, ma i profeti dicevano quello che il Signore stava dicendo. Le Scritture ci parlano anche di uomini che dicevano solo le profezie che il re e il popolo volevano ascoltare. Questi erano i falsi profeti. Le loro parole furono applaudite e accolte per un certo periodo, ma alla fine le loro parole andarono perse poiché la verità non era in loro. E’ stato il coraggio dei veri profeti ad aver tenuta accesa la fiamma della verità.

Purtroppo oggi spesso il ruolo profetico viene tradito, per diverse ragioni - per paura, per mancanza di amore, per una fede tiepida, per l’egoismo del proprio gruppo di appartenenza, anche etnico – sempre amando la gloria mondana più che la gloria di Dio. Sono state pronunciate parole, accolte per un breve periodo, ma alla fine queste parole periranno perché in esse non c’è vita e verità, trasformandoci in falsi profeti. Non si può giocare con Cristo. O saremo profeti dell’Altissimo o falsi profeti. Non c’è una via di mezzo. La verità può essere perseguitata, ma continuerà a vivere. Le sue parole sono eterne poiché "cosi dice il Signore". Una fede tiepida non salva. Non dicendo la verità agli altri, mostriamo di non amarli. Il più grande amico è quello che ci spinge verso la salvezza, e non quello che ci dice dolci parole. E’ solo la verità che salva e rende liberi.

Sulla base di un’antropologia cristiana che crede che Dio "creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini" (Atti 17,27), la Chiesa si rende conto che l’unità umana è più profonda e che le divisioni etniche sono superficiali e insignificanti. La sola divisione legittima avrà luogo quando " saranno riunite davanti a Lui tutte le genti, ed Egli separerà gli uni dall’altri, come il pastore separa le pecore dai capri" (Matteo 25,32).

Vorrei concludere con le parole di N. Berdayev: "Ci sono sempre state due razze nel mondo; esistono tuttora e questa divisione è più importante di ogni altra divisione. Ci sono quelli che crocifiggono e quelli che sono crocifissi, quelli che opprimono e quelli che sono oppressi, quelli che odiano e quelli che sono odiati, quelli che infliggono sofferenze e quelli che soffrono, quelli che perseguitano e quelli che sono perseguitati. Non c’è bisogno di spiegare da quale parte dovrebbero stare i cristiani" . 


Cracovia 2009

Il saluto di papa Benedetto XVI all'Angelus


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