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24 Giugno 2012

Essere Chiesa dei poveri

Le parole del card. Sepe al convegno "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri"

 
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La Chiesa di Napoli è felice di accogliere le oltre 160 comunità, movimenti e associazioni, riuniti a Napoli per questo importante evento. Ho voluto che quest'anno la conclusione fosse nella Cattedrale per significare l'importanza che do a queste vostre giornate di riflessione. Siate i benvenuti a Napoli e nella Chiesa di Napoli!

Come Arcivescovo di questa città ho voluto che fosse dato il massimo rilievo a un tema che mi sta molto a cuore e tocca uno dei nodi fondamentali dei nostro essere Chiesa a Napoli: essere Chiesa dei poveri. Saluto i vescovi presenti, Andrea Oliviero, Presidente Acli, il nuovo direttore della Caritas italiana, mons. Soddu. Ringrazio la Comunità di Sant'Egidio e il suo presidente, l'amico Marco Impagliazzo, per l'idea di questo Convegno e per tutto ciò che fa per i poveri in questa città e in tanti luoghi del mondo. Sant'Egidio ci ricorda che non c'è amore per i poveri senza vita spirituale e li ringrazio perché i loro luoghi di preghiera a Napoli (e altrove) sono una vera testimonianza di come si possa vivere alla scuola della Parola di Dio.

Voglio anche ricordare il loro impegno per la pace e particolarmente la pace in Mozambico firmata proprio 20 anni fa a Roma (era il 4 ottobre 1992). All'epoca ero in Segreteria di Stato e seguivo con interesse il loro lavoro per la pace. Esprimo la mia stima e il mio ringraziamento alle tante associazioni presenti oggi a Napoli, ai loro responsabili che vedo qui impegnati in questa giornata inaugurale. In particolare Eli Folonari e al Movimento dei Focolari, per tanti anni Eli è stata la prima collaboratrice di quella grande cristiana che fu Chiara Lubich; a Salvatore Martinez e a tutto il Rinnovamento nello Spirito che tanto fanno in Italia perché il soffio dello Spirito raggiunga tanti; a Franco Vaccari dell'Associazione Rondine per il loro impegno per la pace soprattutto nel Mediterraneo e infine a Paolo Ramonda che con la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dall'indimenticabile don Oreste Benzi, coorganizza questo evento e che con la sua Comunità dà un esempio di come si possa vivere per i poveri e con i poveri. Saluto anche le tante congregazioni religiose presenti.

Conosco e apprezzo tanto il lavoro umile e capillare che tanti religiosi svolgono con abnegazione accanto ai più poveri in Italia. Siamo riuniti a 50 anni dall'inizio del Concilio. Ed è giusto ricordarne lo spirito in questo anno che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto dedicare alla fede. Uno dei temi più belli del Concilio è proprio quello della Chiesa dei poveri. Lo dico innanzi tutto da prete. Il concilio ha voluto che i preti fossero sempre compagni dei poveri.

Nel documento sui preti "Presbyterorum ordinis" non manca un cenno al dovere dei preti di essere vicini ai poveri. Il paragrafo 6 dice: «Ma, anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito (Mt 25, 34- 45) e la cui evangelizzazione è presentata come segno dell'opera messianica (Le 4, 18)». Questo per me- anche nella mia vita personale - è stato sempre un punto di svolta e di conversione. Poi c'è un discorso più generale che va fatto per la Chiesa.

La Chiesa è vicina all'uomo, è compagna delle sue sofferenze e delle sue gioie, perché è figlia del Cristo che da ricco che era, come dice San Paolo, si è fatto povero. Si è fatto povero in tutto, fino a spogliarsi anche della sua vita per noi sulla croce. Quale povertà più grande di questa: dare la vita per i propri amici.

Dunque noi dobbiamo seguire Gesù che si è fatto povero, che si è identificato con il povero e vivere allo stesso modo. Altrimenti non avrebbe senso il nostro proclamarci discepoli suoi. Dice uno dei testi più importanti del Concilio, la "Lumen gentium": «Come Cristo è stato inviato dal Padre "ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito" (Le 4, 18), "a cercare e salvare ciò che era perduto" (Le 19, 10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo». È stata la storia della Chiesa fin dall'inizio. Cfr. Atti: beni portati agli Apostoli per essere distribuiti ai poveri. È la storia anche di oggi per esempio in occasione degli aiuti ai fratelli terremotati: la carità che si ricava nel tempo e nella storia per testimoniare la verità di Cristo.

Il rapporto con i poveri è una ricchezza perché ci fa capire tante cose, che altrimenti non capiremmo. Ne dico una per tutte, che so qui molto familiare a tutti voi: la gratuità. In un inondo dove spesso prevalgono le logiche del mercato, del "do ut des", del contraccambio, chi sta con i poveri impara che la felicità è nel dare gratuitamente, come dice il Signore Gesù. Siamo liberati dalle logiche del dare per ricevere, perché abbiamo già ricevuto il centuplo. E i poveri per noi sono una grande scuola per capire come si può essere felici donandosi.

C'è bisogno di un nuovo umanesimo nel mondo di oggi. Soprattutto in tempo di crisi economica. La tentazione è quella di chiudersi in se stessi, ma i cristiani hanno sempre davanti a loro il Cristo povero che li richiama a una vita generosa, aperta, compassionevole. Dobbiamo far sì che il nostro mondo possa guardare le nostre opere buone anche per capire che c'è una via alternativa alla chiusura e all'egoismo. Mentre tutto si chiude, apriamo le porte. È ciò che cerco di fare come vescovo di questa città bella e sofferente, ricca e contraddittoria, con tanti problemi da risolvere.

Cerco di aprire ogni giorno una nuova porta, come quelle che ho aperto con il Giubileo per Napoli. La porta di una chiesa, la porta di un centro di ascolto, di un luogo di accoglienza per i poveri, la porta della mia casa, e soprattutto cerco di aprire le pm1e del cuore. Sì, cari amici, vi ringrazio perché anche voi, con il vostro impegno accanto ai poveri, cercate di aprire le porte del cuore dell'uomo a una nuova visione dei rapporti umani. Umanizzare l'uomo, il povero, la società. È ciò che ho imparato dal mio maestro, il Beato Giovanni Paolo II, che mi ha insegnato, fin dalla sua prima predica pubblica, che bisognava aprire le porte, anzi spalancarle a Cristo. Così lui ha vinto tante battaglie, anche le più difficili e considerate impossibili.

È ciò che mi sforzo di fare ogni giorno come vescovo di questa città. Paolo VI nell'Enciclica "Populorum progressio" scriveva: «È un umanesimo planetario che occorre promuovere. Che vuol dire tutto ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Non vi è, dunque, umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto». Il vero umanesimo, come dice giustamente il Papa, non può che essere aperto all'Assoluto. Dobbiamo sempre legare il nostro amore per i poveri, il nostro servizio a loro, a una vita spirituale intensa, alla preghiera, all'ascolto della Parola di Dio. Questa è la nostra sola garanzia per essere fedeli ai poveri, sempre e anche per essere veri amici. Chi è amico dei poveri è amico di Cristo e, di conseguenza, della Chiesa.

Vi ringrazio per quello che fate ogni giorno accanto ai poveri e con i poveri e per quello che fate perché il nome di Gesù sia benedetto da tanti in Italia e nel mondo. Che il Signore vi benedica, vi ricompensi della vostra fatica e del vostro impegno.


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