Nasce una catena della solidarietà per combattere il disagio mentale

Una casa dove curare i disturbi mentali o i disagi sociali per cominciare (o ricominciare) a vivere.

Nel cinquantennale della Comunità di Sant’Egidio è stato sottoscritto un protocollo d’intesa fra la stessa onlus, il Comune di Civitavecchia e l’Asl Roma 4 nel quale sono stabiliti compiti ed eventuali finanziamenti dei tre soggetti, con una suddivisione di competenze già in atto e ora formalizzata.
Ieri, nella chiesa di san Giovanni Battista restaurata pochi mesi fa, la firma: il sindaco Antonio Cozzolino e la vice Daniela Lucernoni; il direttore generale di via Terme di Traiano, Giuseppe Quintavalle e il padrone di casa Massimo Magnano, visto che la chiesa è stata consegnata alla onlus di cui è presidente.
Poi il racconto di cosa avviene, con coloro che hanno bisogno dell’assistenza, non solo sanitaria. «Il caso di Theo è forse quello più eclatante – dice Magnano – quell’uomo che bivaccava all’altezza del Marangone. Questo grazie a questo sistema in cui si fanno convivere delle persone che hanno disagi non solo psicologici ma anche sociali. Una volta accertata la compatibilità, si iniziano a creare relazioni sociali nuove. Spesso i vicini di casa si incuriosiscono e vengono invitati a cena. Un modo efficace per far rifiorire le persone».
«Le medicine vanno bene ma non bastano – la chiosa di Quintavalle – serve il lavoro collettivo, come dimostra Theo. I protocolli, una volta sottoscritti vanno fatti funzionare. L’Asl rischia di non uscire dal lavoro ordinario, questi accordi al contrario permettono di arrivare oltre. Un plauso al centro di Salute mentale».
Ma come funziona la catena della solidarietà? I casi vengono segnalati alla Comunità, che poi passa da Comune e Asl per la valutazione. Una volta individuato il percorso, i volontari visitano quotidianamente le persone favorendo, in diversi casi, anche ricongiungimenti con famiglie lontane. «Quella creatasi qui è un’esperienza esportabile altrove. Va detto che Sant’Egidio arriva dove talvolta non arrivano le istituzioni» la dichiarazione della Lucernoni. Attualmente ci sono in cura una ventina di pazienti divisi in cinque abitazioni.