«Pace e accoglienza», Sant'Egidio in marcia con poveri e migranti

In corteo 500 bambini con bandiere e palloncini
Dall'Annunziata a San Lorenzo per la messa con il cardinale. Samir: «Il Papa mi ha salvato»

Samir Hanna viene dalla Siria e ha stretto due volte la mano a papa Francesco, Ismet Cismic viveva al campo nomadi di Molassana «ma adesso quel campo non c'è più e sotto un tetto si vive meglio». E poi arrivano Amina, Gioia e una fitta rappresentanza dei 500 bambini e bambine che frequentano le Scuole della pace in tutta la città. Eccoli, i mille volti del popolo di Sant'Egidio che è tornato ad invadere pacificamente le strade della città con i suoi colori e le sue mille storie: prima l'incontro alla basilica dell'Annunziata - fatto di testimonianze e racconti - con il cardinale Angelo Bagnasco, poi la marcia con bandiere e palloncini multicolori fino alla cattedrale per la messa conclusiva.
È una storia che parte da lontano : dal 1968, quando Paolo VI scrisse il primo Messaggio per la Pace esprimendo il desiderio che questa celebrazione si ripetesse all'inizio di ogni anno.
«Quella che viviamo è la cinquantunesima Giornata della Pace - dice Andrea Chiappori, anima della Comunità in Liguria - da una quindicina d'anni a Genova si svolge anche la marcia dall'Annunziata alla Cattedrale. E come sempre è un'occasione per riflettere sul messaggio del Papa e sulle parole pronunciate dall'arcivescovo al Te Deum».
«Non chiamateci zingari»
Ieri pomeriggio, sono da poco passate le 15 e il cardinale Angelo Bagnasco sale i gradini della chiesa dell'Annunziata da dove - un'ora dopo - partirà il corteo multicolore di Sant'Egidio. Si avvicina un uomo, Ismet Cismic, 50 anni. «Eminenza, volevo salutarla». Dopo un incrocio di sguardi e di sorrisi, spiega: «Ci siamo conosciuti al campo nomadi di Molassana e ci siamo parlati a lungo al pranzo di Sant'Egidio, si ricorda? Le ho regalato un libro, "Non chiamatemi zingaro"». «Adesso sì che mi ricordo - risponde il cardinale - abbiamo fatto anche le foto insieme». «E io le conservo e ne sono molto orgoglioso».
I miracoli di Sant'Egidio sono questi, incontri che penseresti impossibili. E quando il cardinale si informa sul campo di Molassana, Ismet allarga un sorriso: «Non esiste più, è rimasta solo l'area libera, oggi noi tutti viviamo in appartamenti sparsi qua e là nei quartieri. Ma ci teniamo in contatto, continuiamo a sentirci». La stessa formula dell'accoglienza diffusa che è la via privilegiata - quando è possibile - nell'accoglienza dei richiedenti asilo: piccoli gruppi che si possono così inserire più facilmente nella vita della città.
«Dove ci si può conoscere dice il cardinale - si superano i pregiudizi e le paure, tutto diventa più facile e l'integrazione è possibile».

«Io e papa Francesco»
All'interno della basilica, un giovane è chiamato a raccontarsi al microfono. Si chiama Samir Hanna, viene dalla Siria ed è uno dei primi arrivati attraverso i corridoi umanitari "inventati" dalla Comunità e fatti propri da Papa Francesco.
«Vengo dalla Siria, come sapete il mio Paese è da sette anni in guerra. E io ne ho vissuti cinque in mezzo all'orrore, ho visto cose che non è facile raccontare: la mia casa come molte altre è stata bombardata tre volte in pochi giorni. Molti miei amici sono morti, poi io nel 2015 ho lasciato il mio Paese e sono riuscito ad arrivare in Turchia, da dove con un barcone ho raggiunto la Grecia», Samir accenna appena alla vita in un campo profughi predisposto per accogliere duemila persone nell'isola di Lesbo, «ma eravamo cinquemila, ammassati in condizioni terribili. Finché è arrivato in visita Papa Francesco. L'ho potuto incontrare e conoscere, grazie a lui e ai corridoi umanitari della Comunità di Sant'Egidio sono arrivato in Italia».
A Genova, la città individuata come sua destinazione, lo scorso anno Samir ha avuto una nuova sorpresa: l'arrivo del Papa alla Guardia e un nuovo incontro. «Sì, gli ho detto molte cose ma soprattutto l'ho ringraziato con tutto il cuore per avermi accolto». Ora Samir si appresta ad frequentare un corso per diventare parrucchiere «come mio nonno e mia madre, il mestiere che avevo sempre sognato: e sarò un parrucchiere siriano-genovese».


[ Bruno Viani ]