«Dialogare non è buonismo, non è nemmeno dibattere in grandi alberghi. E' una necessità geopolitica, è l'arte di negoziare e di non stancarsi, la consapevolezza che viviamo in un mondo in cui il meticciato e il confrontarsi sono vitali»
Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant'Egidio, spiega così quello che è diventato il suo mestiere di vita. Oggi lo storico cattolico riceve ad Aquisgrana come quinto italiano (dopo de Gasperi e Ciampi, tra gli altri) il premio Carlo Magno per il suo «straordinario impegno civile in favore di un'Europa più umana e solidale all'interno e all'esterno delle sue frontiere».
Il riconoscimento va anche alla Comunità di Sant'Egidio per ciò che in più di vent'anni ha compiuto a favore della pace e del dialogo interreligioso.
Dal primo incontro interreligioso lanciato ad Assisi da Giovanni Paolo II cosa avete imparato in questi due decenni?
«La giustezza dell'intuizione di papa Wojtyla secondo cui la pace è un cantiere aperto a tutti, anche ai "non specialisti". Giovanni Paolo II ha capito che le religioni dovevano agire come fattore di pace. Benedetto XVI porta il suo contributo, sottolineando l'importanza della ragione e del discorso culturale nel confronto tra le religioni».
Come definire il dialogo sul piano geopolitico?
«Una necessità. E' l'arte di vivere insieme in un mondo in cui ormai non esistono più società omogenee. E' una questione che investe la vita quotidiana di milioni di uomini e donne».
In concreto?
«Bisogna lavorare perché non vi siano identità contrapposte, tipo Libano. Al contrario, partendo dalla consapevolezza della propria identità sarà sempre più importante scoprirsi meticci e sapersi incontrare con l'Altro. Germaine Tillon, un'antropologa francese sopravvissuta al lager di Ravensbrueck e poi testimone della guerra d'Algeria, usava questa espressione: tutti parenti, tutti differenti. Soprattutto non vanno trasferite sull'Altro le paure che nascono dalla crisi economica e dallo spaesamento prodotto dalla globalizzazione».
Lei va in un crocevia europeo come Aquisgrana e da noi il governo scatena la polemica provinciale del rifiuto della multietnicità.
«Io ritengo essenziale l'identità nazionale. Mi chiedo però se da noi questa identità non si stia sfarinando in un'Italia sempre più spaccata tra Nord e Sud. Fra due anni sarà il 150esimo anniversario dell'Unità: quali parole avremo per definirla? Certo, è un paradosso che negli anni passati uno dei difensori più impegnati della coesione nazionale sia stato il pontefice polacco Wojtyla... "Chi difende l'unità d'Italia?", esclamò negli anni Novanta e lanciò l'iniziativa della Preghiera per l'Italia».