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8 Septiembre 2014 16:30 | Thomas More, Campus Carolus, Aula 006

Intervento


Vincent Montagne


Presidente del “Groupe Media Participation”, Francia
Il titolo iniziale del panel era: “Complessità dei conflitti e informazione”. Io credo che esso rispecchiasse meglio la problematica che dobbiamo affrontare.
L’obbligo di informare, informarsi e saper render conto di quel che ci colpisce. Questo non è facile! Perché noi siamo tutti al tempo stesso emettitori e ricevitori. Di quale informazione posso disporre per comprendere, analizzare i fatti e formare un mio giudizio per l’azione?
È questo in fondo il problema di qualsiasi persona che ha la responsabilità di decidere, manager, uomo politico, giornalista, insegnante… e anche i genitori!
Noi partiamo sempre da un punto di vista, un prisma, una soggettività, legati alla nostra cultura personale, al nostro paese, al nostro villaggio, al nostro stato di grazia del momento! Evidentemente oggi noi viviamo in un villaggio globale!
 
Siamo entrati in un'era in cui l'accesso alle informazioni è considerato sacro e dove è scandaloso non essere al corrente!
L'accesso alle informazioni dovrebbe portare l'umanità a una grande felicità: a un'economia rivitalizzata, a relazioni sociali rifiorite. Trinitario, questo culto dell’accesso alle informazioni si unisce anche al culto della trasparenza e della condivisione. 
E bisogna dire che è straordinario! Chi di noi non ha fatto l’esperienza della ricerca di un testo su internet, riuscendo a trovare, a partire da una espressione, un testo unico nella storia dell’umanità?
Ma nella frase "accesso alle informazioni", vi è un tranello: l’informazione, non dimentichiamo che è prima di tutto ognuno di noi, ridotto alla somma dei nostri "dati", i nostri dati personali, che noi scambiamo, volontariamente o involontariamente, in cambio del libero accesso ad altre informazioni. I principali motori di ricerca, ma anche una serie di start-up, hanno costruito modelli di business molto redditizi sfruttando questi dati personali: l'accesso a questi dati, soprattutto se non li si paga, è molto redditizio. 
Ciò solleva la questione della libertà individuale nei confronti di una società di sorveglianza insidiosa. Esempi: le proteste contro Google Street View (dove si può essere ripresi da una telecamera a propria insaputa) o, ancora più grave, gli scandali recenti che hanno rivelato il trasferimento di dati personali al NSA a fini di spionaggio (compreso il telefono portatile della Cancelliera Merkel), la raccolta delle impronte digitali sugli smartphones ... In un potente romanzo, "The Circle", Dave Eggert immagina una grande azienda della Rete che, con il pretesto della trasparenza e di principi morali, crea un mondo di sorveglianza generalizzata degno del Grande Fratello di Orwell. 
Allo stesso modo, il concetto di condivisione appare abusivamente sottinteso nella frase "share economy". La condivisione implica, infatti, una nozione di gratuità. Ma il più delle volte, l’auto-proclamata "share economy" è invece correlata ad un’economia dell’«affittare e rivendere». Ma oltre a vestirsi col marketing della "share economy" Internet ha cambiato la dimensione del problema: il mercato è diventato globale, e questo ha due importanti conseguenze: in primo luogo, l'elusione delle norme nazionali (fiscali, sociali, giuridiche ...), dall'altro un arricchimento degli intermediari  molto veloce, in quanto si basa su riscossioni automatiche delle commissioni. Di qui i problemi di concorrenza sleale e di posizione dominante. 
La costituzione di posizioni egemoniche dominanti è un problema particolarmente grave nel mondo della cultura, perché colpisce subito la pluralità e la libertà di espressione, e quindi la democrazia. Per ora ne sorridiamo: Apple censura Lucky Luke e Tchoupi perché non soddisfano i suoi codici morali ... ma la lotta comincia a diventare dura, come mostra l’attuale braccio di ferro tra Amazon e diversi editori e studi cinematografici. Amazon. Novecento scrittori americani, consapevoli dei pericoli di un eccessivo dominio di Amazon, hanno firmato una petizione apparsa il 17 agosto sul New York Times. Questa mobilitazione di scrittori a mio parere è una tappa importante sulla scena intellettuale e nell'opinione pubblica. 
La questione che si pone ora è: come possiamo continuare a sostenere, nell'era digitale, uno dei valori faro nelle società democratiche, la diversità culturale: diversità di culture, dei modi di espressione culturali, degli attori della vita culturale. 
E in seno alla cultura, il libro occupa un posto speciale. Il libro è la base e la matrice di ogni cultura. Strumento per trasmettere testi e immagini (per molto tempo l’unico), veicolo preferenziale della fantasia, della conoscenza e delle idee. 
Questi giganti della Rete sono tutti all'attacco del libro. Perché il libro è lo strumento principale per la trasmissione e la formazione di un giudizio personale, di un pensiero critico, di una riflessione personale. La lettura rende liberi. In spagnolo, c’è una sola parola per libro e libero: libro. 
I libri sono inseparabili dalla libertà. Libertà di pensiero, di credo, libertà di penna, libertà d’edizione. Non è un caso se, quando la barbarie vince, i libri vengono bruciati, "Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare gli esseri umani”, ha detto Heinrich Heine. In Mali, a Tombouctou, l’odio si è scagliato anzitutto contro i manoscritti, prima di volgersi contro le donne e gli uomini. 
 
Come ha detto Herman Van Rompuy a Sarajevo pochi anni fa, è nella discussione dei testi fondatori contenuti nei libri, nel principio del dibattito e della continua ricerca di senso, che si trova la diversità che ci arricchisce. 
Non abbiamo in comune quella bella espressione: religioni del libro? Anche se la Parola di Dio non può essere rinchiusa in nel Libro!
La Parola ricevuta costruisce una liberta interiore che fa sorgere in noi il desiderio di partecipare al mondo a di farci coinvolgere.
Il libro ci fa diventare ciò che siamo. In "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury, il pompiere Beatty, incaricato di bruciare i libri, non ha detto forse: "Dobbiamo essere tutti uguali (...) Un libro è come una pistola carica nella casa accanto. Bruciamolo. Scarichiamo l'arma. Sconfiggiamo alla radice lo spirito umano".  Questa frase è stata scritta nel 1954. 
 
Il libro ha un grande potere simbolico. Leggiamo per imparare e per capire, per entrare in un'altra temporalità, per diventare cittadini migliori. 
 
Il National Endowment for the Arts negli Stati Uniti ha osservato una forte correlazione tra la pratica della lettura e il ruolo attivo dei cittadini, la solidarietà verso gli altri individui, che si traduce in volontariato, impegno o anche il semplice voto. La partecipazione dei lettori alla vita culturale, sociale e civile è più forte. 
 
Stiamo vivendo in una cesura di civiltà, in cui l'uomo moderno, ultra-connesso, è sempre più assorbito in un mondo di schermi, di immagini e di scritte frammentarie, e in cui si ha sempre meno tempo da dedicare alla lettura di libri. 
 
Da un punto di vista cognitivo, il libro ha virtù specifiche: sviluppo del pensiero lineare, organizzato intorno a relazioni di temporalità e causalità; della narrazione costruita su una logica di successione; sviluppo della memoria degli eventi, vale a dire a lungo termine. Il libro è ancorato nel tempo e sviluppa questo ancoraggio, promuove l'attenzione, il pensiero di una singola attività da portare a compimento, e da realizzare nel miglior modo possibile, in un ideale di perfezione. 
La cultura del libro, incentrata sull’unico e l’individuale, aiuta a fare un passo indietro, a sviluppare senso critico individuale.
Oggi in Francia il 19% dei giovani di 15 anni ha gravi difficoltà a comprendere quello che legge! 
 
 
Concludo sulla necessità di una forte determinazione in materia di lettura: non c'è fatalità. Nel corso di diversi decenni in Francia, si osservano oscillazioni nella pratica della lettura. Dei 64 paesi ed economie messi a confronto in uno studio PISA, 32 hanno migliorato le loro prestazioni in lettura nel 2012. La lettura dovrebbe essere una priorità: in primo luogo, è necessario che la scuola continui a mettere i libri nelle mani di ogni bambino; in secondo luogo, bisogna utilizzare la lettura ad alta voce come un modo per introdurre i bambini al piacere della lettura, come dimostra il successo di "Piccoli Campioni di lettura" che abbiamo lanciato due anni fa in Francia, sul modello del "Vorlesewettbewerb" tedesco. 
 
Avete sicuramente capito che la promozione della lettura è per me l’arma essenziale per la formazione del senso critico. La cultura generale è la migliore risposta possibile di fronte all’informazione e la sua complessità. 
Mi sono collocato di proposito dalla parte della responsabilità del recettore. Senza questa libertà di giudizio, i popoli divengono delle folle in preda ai media più potenti e i conflitti, seppur a volte solo virtuali diventeranno apocalittici.
Ieri sera, Herman Van Rompuy diceva: l’Europa è un concetto generoso, basato sul perdono, la fiducia, la riconciliazione. Bisogna oggi costruire una politica culturale europea che garantisca la pace e il rispetto della diversità.
Grazie.

 

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